“Te lo sei meritato!”

a cura di Carlo Bortolami

“Se oggi sono qui, lo devo solo a me stesso”. Quante volte – in contesti più o meno formali, durante presentazioni imprenditoriali, campagne pubblicitarie e comizi politici – sono state ascoltate frasi e affermazioni di questo tipo. Si parla infatti spesso dell’uomo che si è “costruito da solo”, della donna che si è “fatta da sé”, del self-made man e della self-made-woman: colui e colei che – soli – si sono adoperati, con impegno, sforzo e fatica, per raggiungere i risultati e il successo di cui ora possono vantarsi e andare orgogliosi. Si tratta di una narrazione considerata dai più motivante ed efficace, perché “se mi impegno ce la posso fare pure io”, perché “se lui e lei ce l’hanno fatta cominciando dal nulla, allora anche io posso raggiungere i miei obiettivi”, e così via. Questo processo logico del “se mi impegno, ce la faccio” è stato ampiamente condiviso anche e soprattutto nei contesti lavorativi, conseguendo in un aumento delle richieste poste all’individuo, che deve diventare sempre più competitivo, resiliente, flessibile, ‘pronto’ a cogliere qualsiasi opportunità: deve essere “imprenditore di se stesso”, deve essere “imprenditrice del proprio successo”, deve ‘costruirsi’ il lavoro e il futuro (Ginevra et al., 2020; Boarelli, 2019). Risulta quindi facile delineare le caratteristiche del lavoratore e della lavoratrice ideali: coloro che danno il massimo e pongono il lavoro davanti ai vari “problemi” personali e familiari (Ginevra et al., 2020).

Il self-made man, in realtà, non è altro che prodotto e motore di un’ideologia che va diffondendosi a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso: la meritocrazia, che nasce come tentativo di dare a tutti la possibilità di migliorare la propria posizione (lavorativa e sociale), fino a raggiungere vertici di potere. Il termine è composto da due parole: meritus, di origine latina, che significa ‘merito’, e kratos, di origine greca, che significa ‘potere’ (da qui anche ‘democrazia’, ‘aristocrazia’, ‘burocrazia’, ecc.). Dunque, la meritocrazia è “il potere al merito” e il merito, secondo l’ideologia meritocratica, è dato da una somma: quella tra il quoziente intellettivo e l’impegno attuato dalla persona. Proprio basandosi sulla formula “merito = quoziente intellettivo + impegno”, Michael Young nel 1958 pubblica un libro satirico dal titolo L’avvento della meritocrazia, in cui evidenzia un problema concettuale di fondo, una distopia: in condizione di disuguaglianza iniziale, valutare il merito sulla base di intelligenza e impegno significa favorire coloro che erano favoriti già dal principio (Sandel, 2021), significa premiare i vincitori alla linea del traguardo senza tenere in considerazione che sono partiti con dieci, quindici o venti metri di vantaggio sugli altri, i quali, ‘non meritevoli’, si sono trovati magari a gareggiare con le scarpe slacciate in una corsia con ostacoli e buche e con qualche avversario che li fiancheggia con gomitate e spintoni.

I ‘meritevoli’ sono coloro che, spesso ricchi, hanno avuto la possibilità e la fortuna di avere una valida istruzione e formazione, una buona educazione, una famiglia attenta ai bisogni socio-culturali (Ginevra et al., 2020): questi, in grado di competere ed eccellere, si convincono sempre più della loro superiorità rispetto agli altri, che invece vengono considerati e si considerano loro stessi “naturalmente” e “giustamente” inferiori, poiché vinti in una competizione che, alla linea del traguardo, misura il merito degli uni e degli altri.

L’idea che il destino sia nelle tue mani, che sia responsabilità tua, che con lo sforzo e l’impegno ce la puoi fare, da una parte può ispirare, dall’altra può generare il pensiero spiacevole e frustrante di essere la causa del proprio fallimento, di non avere le carte giuste per farcela, di non poter ottenere il successo desiderato. Michael J. Sandel, professore di Teoria del governo ad Harvard, definisce questo sentimento (peggiore del senso di colpa) come frutto della politica dell’umiliazione: «La politica dell’umiliazione si differenzia dalla politica dell’ingiustizia in questo aspetto. La protesta contro l’ingiustizia è rivolta verso l’esterno: accusa il sistema di essere truccato e i vincenti di aver raggiunto i vertici con inganni o manipolazioni. La protesta contro l’umiliazione […] combina il risentimento nei confronti dei vincenti con un assillante dubbio nei confronti di se stessi: forse i ricchi sono ricchi perché più meritevoli dei poveri e forse, alla fin fine, i perdenti sono complici delle proprie sfortune» (Sandel, 2021, p. 32).

L’idea di merito e di meritocrazia appena descritte continuano a diffondersi e dilagano nei più vari ambienti (si pensi ad esempio al Ministero dell’Istruzione della Repubblica italiana, recentemente rinominato in Ministero dell’Istruzione e del Merito), nonostante sia noto, già dagli anni Ottanta del Novecento, con il contributo della Social Cognitive Career Theory (SCCT), come sia fondamentale il ruolo del contesto nello sviluppo del senso di autoefficacia e degli interessi dell’individuo, che a loro volta influenzano le sue scelte, le azioni e i risultati di queste (Soresi et al., 2020). Infatti, a determinare le credenze di efficacia dell’individuo sono proprio le esperienze passate di apprendimento: i successi e gli insuccessi esperiti, i modelli (positivi e negativi) a cui è stato esposto, le sue predisposizioni personali, il genere (che ha a sua volta determinato dinamiche dialogiche contestuali spesso e purtroppo stereotipiche), le condizioni di vulnerabilità personali (come la disabilità, la malattia, ecc.), le condizioni socio-economico-culturali familiari, e chi più ne ha più ne consideri. Considerando queste condizioni personali e contestuali è poco prudente (se non incosciente) affermare che la responsabilità del successo professionale e personale dell’individuo è solo da ricercare nell’individuo stesso: «una cosa è ritenere le persone responsabili dell’agire moralmente, un’altra è postulare che noi – ciascuno di noi – siamo totalmente responsabili della nostra sorte in vita» (Sandel, 2021, p. 39).

Su questi presupposti, in questa sede si ritiene doveroso che – in un progetto di orientamento al futuro – si faccia menzione e si analizzino le variabili in gioco quando il “potere è dato al merito”. Magari, in un laboratorio di orientamento con studenti e studentesse potrebbe essere dedicato un incontro alla meritocrazia, in cui l’obiettivo ultimo sia far emergere l’idea di merito e di meritocrazia che i partecipanti posseggono già, comprendere quali siano, secondo loro, i meccanismi che regolano l’ideologia meritocratica, per poi avviare un’espansione e una riflessione critica sul tema, condividendo degli ampliamenti offerti dalla letteratura di riferimento.

Approfondendo la struttura di un’eventuale sessione laboratoriale dedicata a questa tematica, della durata di due ore circa, si può prevedere di introdurre l’incontro presentandone gli obiettivi. Successivamente, si possono stimolare i partecipanti alla riflessione ponendo loro domande come “Cosa significa per voi merito?”, “Cos’è la meritocrazia e come pensate che funzioni nella nostra società?”, lasciando spazio alle riflessioni personali e alla discussione di gruppo, facilitata da chi conduce l’incontro. Il conduttore o la conduttrice proporrà, quindi, un’espansione delle definizioni raccolte, ampliando e integrando quanto detto con ciò che la letteratura scientifica definisce riguardo la meritocrazia, come funziona e quali sono i suoi effetti morali, psicologici, sociali ed economici. Si potrebbero, poi, accompagnare i partecipanti in un’esercitazione, divisi in piccoli gruppi da 4-6 persone: consegnata a ciascun gruppo una storia di successo – un esempio di persona che, secondo il linguaggio meritocratico, “ce l’ha fatta” – si chiede loro di analizzarla in modo critico, rispondendo insieme a domande come “Quali fattori hanno contribuito al successo della persona?”, “In che modo il contesto ne ha influenzato il risultato?”, “Quali altre opportunità o ostacoli hanno giocato un ruolo importante?”. Ecco che, dopo che ciascun gruppo avrà presentato la propria analisi, il conduttore o la conduttrice potrebbe suddividere nuovamente i partecipanti e assegnare a metà del gruppo il compito di difendere e sostenere l’ideologia meritocratica e all’altra metà il compito di criticarla: ai due gruppi possono essere lasciati 10 minuti per preparare argomentazioni e contro-argomentazioni da utilizzare poi nel corso di un breve dibattito, in cui ciascun gruppo presenta i propri punti di vista e controbatte alle argomentazioni dell’altro. A chi conduce, spetta il compito, infine, di sintetizzare la riflessione emersa e di evidenziare quanto il contesto possa influenzare le opportunità di successo.

Bibliografia

Boarelli, M. (2019). Contro l’ideologia del merito. Gius.Laterza & Figli Spa.

Ginevra, M. C., Nota, L., Soresi, S., Di Maggio, I., & Santilli, S. (2020). Futuro e orientamento non sono più quelli di una volta. In S. Soresi & L. Nota, L’orientamento e la progettazione professionale. Modelli, strumenti e buone pratiche. Il Mulino.

Sandel, M. (2021). La tirannia del merito: Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti. Feltrinelli Editore.

Soresi, S., Nota, L., Ginevra, M. C., Di Maggio, I., & Santilli, S. (2020). L’orientamento: Dalle origini ai tempi di crisi. In L’orientamento e la progettazione professionale (pp. 11–55). Il Mulino.