Pensare l’alternanza come dispositivo pedagogico sostenibile

Pensare l’alternanza come dispositivo pedagogico sostenibile
a cura di Ornella Scandella, Società Italiana per l’Orientamento
Uno dei temi del XVIII Congresso nazionale SIO “Il contributo dell’orientamento e del counselling all’Agenza 2030” è l’alternanza scuola lavoro. Questo testo intende proporsi come un contributo per pensare all’alternanza in termini propositivi e in un’ottica pedagogica.

Il punto sull’alternanza
L’alternanza scuola lavoro nasce come idea dalla scuola reale nella seconda metà degli anni ‘80 del secolo scorso, in alcune istituzioni secondarie di secondo grado dei diversi indirizzi tecnici e professionali. Erano scuole mosse dall’intento di cambiare la proposta formativa in nome di nuove istanze culturali, pedagogiche e di un’inedita domanda sociale di formazione. Denominate maxisperimentazioni, erano autorizzate a sperimentare sulla base di progetti autonomi.
La scuola della piena scolarità – più nota come scuola di massa – nella transizione verso la secondaria di secondo grado, da circa un decennio era alle prese con un aumento esponenziale dei tassi di scolarizzazione. Si manifestava per la prima volta nel sistema dell’istruzione una scolarizzazione marcata da evidenti eterogeneità quanto a interessi, approcci cognitivi, livelli di partenza dei saperi posseduti (saperi e saper fare). E questo con implicazioni anche sul versante dell’orientamento.
Le maxisperimentazioni tendevano a valorizzare le relazioni educative e una didattica centrata sull’apprendimento. E lo facevano attraverso prassi di ricerca-azione.
Tra le innovazioni allora sperimentate vi era lo stage in contesti lavorativi, in realtà pubbliche e private; non esclusivamente contesti aziendali. Da allora questa pratica è andata diffondendosi, fino a diventare esperienza formativa generalizzata negli istituti tecnici e professionali.
Alle scuole che le avevano promosse queste prime esperienze di alternanza piacevano perché, ideate sulla base della specificità del percorso di studio, ne rappresentavano una modalità di approfondimento e arricchimento (una connessione tra saperi e saper fare, un allargamento di orizzonti – un diverso ambiente di apprendimento, la sperimentazione del valore sociale del lavoro) e in taluni casi un’opportunità di orientamento.

Questo “fare scuola” in rapporto con il mondo esterno era visto anche come modo per superare l’autoreferenzialità del mondo della scuola rispetto al mondo della vita, una delle critiche allora mosse al sistema dell’istruzione.
Queste esperienze sono state assunte dalla legislazione scolastica successivamente al loro reale manifestarsi. Prima con la Legge di riforma n. 53/2003, che introduce l’alternanza come pratica possibile, lasciando libertà alle scuole di attuarla; in seguito con la Legge di riforma n. 107/2015 che ne sancisce l’obbligo, con estensione anche al comparto liceale. Ad essere precisi, l’Amministrazione centrale aveva valorizzato il raccordo con il mondo del lavoro anteriormente alla normativa citata, introducendo sul finire degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 negli istituti professionali il “Progetto 92”. Si era trattato di una “sperimentazione assistita”, che tra gli scopi aveva quello di conciliare l’innalzamento degli standard culturali con una formazione professionale. Tra le novità ordinamentali introdotte figurava una consistente area dedicata ad esperienze nel mondo del lavoro, anche facendo ricorso a una pedagogia individualizzata e ad un’organizzazione modulare e flessibile degli iter formativi. Era un’innovazione apprezzata da insegnanti e studenti (Malizia, 1990).
Nella fase attuale di applicazione della Legge 107, che rende l’alternanza obbligatoria in tutti gli indirizzi della secondaria di secondo grado, tra le iniziative messe in campo dalle scuole sotto il termine alternanza ne figurano di vario tipo: visite guidate in realtà esterne, aziendali e non, incontri a scuola con esperti/testimoni esterni, impresa simulata, corsi con esperti sulla sicurezza, esperienze all’estero, esperienze individuali in contesti professionali. Queste ultime possono essere effettuate in realtà diverse, di natura pubblica e privata: Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, enti del terzo settore, ordini professionali, enti di ricerca, musei, aziende, istituti operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali, enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale, enti di promozione sportiva. Ma anche Università, Amministrazioni comunali, Corti d’appello, eccetera.
In alcune realtà scolastiche queste iniziative sono positive, con manifestazioni di soddisfazione da parte di studenti, di docenti, nonché degli stessi organismi di rappresentanza. In altre corrono il rischio di configurarsi come parentesi estemporanee tra percorsi didattici, con contenuti e processi lavorativi lontani dal progetto educativo e didattico degli specifici insegnamenti, dal progetto del singolo studente e dal progetto di classe. Questo rischio si manifesta più marcato nei licei, dove l’alternanza non ha il vissuto esperienziale degli istituti tecnici e professionali, dove meno avvertite ed evidenti sono le istanze formative proprie dei percorsi terminali, pre-professionalizzanti, e dove il cambiamento è perlopiù avvenuto senza un’adeguata formazione dei docenti. Ma è un rischio anche più marcato in zone in cui non vi sono realtà disponibili ad accogliere i progetti delle scuole, o non ve ne sono in misura sufficiente.

Alcune premesse
Per pensare le esperienze di alternanza e le sue potenzialità formative e orientative, viene spontaneo porsi alcune domande. A partire dalla premessa che compito della scuola è preparare alla vita (Massa, 1997)1.
Ha senso per preparare alla vita occuparsi nella scuola della “vita reale” anche facendola vivere in reali contesti professionali, oltre il perimetro della scuola stessa? Ha senso in altri termini portare dentro un percorso formativo, pedagogicamente centrato, il valore soggettivo e sociale del lavoro? Ha senso occuparsi di lavoro? Di cultura del lavoro? Ha senso farlo oltre la didattica disciplinare? Ha senso consentire esperienze “fuori contesto” per apprendere saperi e saper fare? E per orientare verso il futuro?
Nel tentativo di trovare risposte, si fa ricorso ad alcune premesse pedagogiche. Chi scrive ama in proposito richiamare il pensiero del pedagogista Riccardo Massa, tramite citazioni dal libro Cambiare la scuola. Educare o Istruire?: “La formazione non deve avere come nucleo fondamentale la trasmissione di conoscenze statiche e astratte […], ma coniugare il momento cognitivo con quello applicativo, sollecitando l’intelligenza critica e la capacità di indagine”. “La scuola deve educare, cioè aprire al mondo. Non soddisfare bisogni, ma rendere capaci di autonomia e desiderio” […] “e aiutare a crescere, […] sentirsi utili e importanti, apprendere dall’esperienza”. “L’indicazione che resta imprescindibile è quella di far fare esperienza e di farla elaborare criticamente”. Individuare “le regole rigorose di un setting predisposto per l’istituzione di un campo di esperienza […]” (Massa, 1997).
Il senso pedagogico dell’apprendere dall’esperienza sta nell’interrogare l’esperienza vissuta nel processo di insegnamento-apprendimento per attribuirle senso, facendo della scuola un dispositivo di elaborazione, anziché di prestazione. Ciò implica un docente educatore capace di predisporre setting adeguati per un’interrogazione riflessiva sui saperi esperiti, anche predisponendo differenti situazioni di apprendimento, come sostiene Luigina Mortari, quando afferma che il valore del processo formativo sta nell’elaborare discorsi pedagogici che si basino sullo sviluppo del pensiero critico e sulla disponibilità a impegnarsi per una società migliore.
L’esperienza di cui si parla si fonda sul ruolo attivo nel processo di apprendimento, sulla predisposizione di situazioni per far fare scelte, interrogarsi, sbagliare e comprendere dall’errore, per far cercare ipotesi, connessioni, interpretazioni; per far costruire senso; per far costruire il senso di appartenenza a una comunità (Mortari, 2010).
Si può apprendere dall’esperienza in situazioni e setting vari. Si può fare esperienza di apprendimento nella lezione, purché non sia mera trasmissione di saperi, nel laboratorio degli alambicchi o di informatica, nell’incontro con testimoni privilegiati, nella visita guidata, nelle esercitazioni individuali e di gruppo. Ha senso e valore pedagogico a questi setting aggiungerne altri in contesti lavorativi, per così dire, extramoenia?
Può avere senso inserire il lavoro nel curricolo scolastico. Ma assumendo il lavoro come attività propria dell’homo faber e scandendone la specificità (sopravvivenza, realizzazione, ricerca, imprenditività, scoperta e costruzione di sé e delle proprie attitudini e competenze in rapporto al futuro che si ipotizza per sé …). In altri termini, dando rilevanza alla dimensione dell’homo faber, declinata e agita in rapporto ai vari campi di attività e ai saperi che le danno – e ne ricevono – senso, valore e concretezza.
Il valore della normativa sull’alternanza può essere rintracciato nel tentativo di superare l’“accademicità” dei saperi scolastici e permettere esperienze di vita altre, cariche di un loro spessore educativo. In questo ripensando anche alle esperienze positive fatte sperimentalmente in alcune scuole, ideate e realizzate fuori da vincoli astratti e uniformi (obbligatorietà a prescindere e rigidità del monte ore).
Si tratta di capire come tradurre didatticamente l’intuizione di una costruzione mirata di ambienti di apprendimento anche fuori la scuola, in cui operatività e riflessività si intreccino.
La stessa denominazione “alternanza scuola lavoro” per i contenuti esplicitati dalla normativa e per come è praticata dalle scuole, andrebbe forse cambiata. Alternanza connota specificamente il sistema duale, che esprime – appunto – l’alternarsi settimanale di momenti di studio e momenti di lavoro, con finalità che cercano di riportare quelle formative della scuola in un sistema in cui è centrale la formazione alle professioni. Ma non è la questione nominalistica che qui preme prendere in considerazione.

Condizioni per l’orientamento
Quali sono le potenzialità orientative delle esperienze in alternanza? La normativa sembra quasi riconoscerne una valenza implicita. La “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro”, di recente emanazione (MIUR, 2017), ribadisce che essa è una “opportunità di conoscere ambiti professionali, contesti lavorativi e della ricerca, utili a conseguire e integrare le competenze curriculari, al fine di motivarli e orientarli a scelte consapevoli, nella prospettiva della prosecuzione degli studi o dell’ingresso nel mondo del lavoro”. E ancora, l’alternanza è considerata “una modalità didattica innovativa, che attraverso l’esperienza pratica aiuta a consolidare le conoscenze acquisite sui banchi e testare sul campo le attitudini di studentesse e studenti, ad arricchirne la formazione e a orientarne il percorso di studio e in futuro di lavoro, grazie a progetti in linea con il loro piano di studi”.
Anche qualora si ipotizzasse che il solo fatto di entrare in contatto con il mondo del lavoro abbia un qualche valore orientante, non sarebbe sufficiente limitarsi al semplice inserimento in un contesto lavorativo per sostenere che l’alternanza è un dispositivo di orientamento. E questo in nome dell’orientamento nella scuola come educazione alle scelte e pensando anche a nuovi approcci teorici e metodologici, nonché ai cambiamenti in atto nel mondo del lavoro sempre più instabile, incerto e imprevedibile.

Affinché l’alternanza sia utile anche ai fini orientativi, si ritiene opportuno che vengano assicurate alcune condizioni: salvaguardare una progettualità individuale, coinvolgere lo studente e la studentessa nella fase progettuale, consentire opportunità di fare scelte, collocare le esperienze lungo il percorso formativo, comunque non nell’imminenza delle transizioni, in nome di una processualità nell’acquisizione di consapevolezze, sviluppo o verifica di interessi; e ancora, assicurare momenti di riflessione utili per generare sapere esperienziale attraverso il “pensare a ciò che si è fatto” e magari anche il “pensare a come si è fatto”, una modalità per strutturare la vita della mente, un primo passo per l’autovalutazione dell’esperienza. Momenti di riflessione sull’esperienza fatta dovrebbero trovare collocazione anche nelle attività curricolari, nella didattica delle discipline coinvolte in relazione alle conoscenze e competenze messe in campo nel progetto di alternanza. Nella didattica, infatti, si compie la costruzione dei saperi – e di senso – attraverso l’elaborazione culturale e metacognitiva del campo di esperienza, l’esplorazione delle connessioni tra saperi teorici e loro applicazione in contesti reali, tra aspetti razionali ed emozionali, tra dimensioni oggettive e soggettive.

Condizioni di efficacia sono considerate dalla stessa “Carta dei diritti e doveri in l’alternanza scuola-lavoro”. Si evidenziano in proposito: l’affiancamento di figure tutoriali, a loro volta condizioni di possibilità per obiettivi di apprendimento e di orientamento; la salvaguardia di condizioni di salute e sicurezza nelle strutture ospitanti; l’opportunità di segnalare situazioni in cui l’esperienza di alternanza non sia formativa o si discosti significativamente da quanto co-progettato da scuola e struttura ospitante, utilizzando una piattaforma presente sul sito del MIUR.
E, aspetto non certo trascurabile, l’impossibilità di utilizzare i periodi di apprendimento in situazione lavorativa come rapporto individuale di lavoro.

Un’occasione per l’alternanza e per l’orientamento
Queste sono alcune delle condizioni da considerare come contributo all’orientamento in tema di alternanza, anche nel merito al contesto organizzativo delle istituzioni del sistema dell’istruzione. Su queste condizioni ed altre, che potrebbero emergere nel corso del congresso, è opportuno che riflettano gli esperti di orientamento.
È altresì auspicabile un contributo da parte della SIO, in particolare in merito agli strumenti da adottare nelle esperienze, affinché facilitino la costruzione di un senso orientativo, e – perché no – l’acquisizione di competenze orientative, in tutte le iniziative che compongono il perimetro dell’alternanza, dentro e fuori la scuola.

Nella prospettiva dell’Agenda 2030 dell’ONU, il congresso si pone anche come occasione per pensare l’alternanza come dispositivo, oltre che per orientamento, anche per l’educazione alla sostenibilità a vantaggio di un mondo più giusto, inclusivo e sostenibile. Una delle macro-aree di intervento previste dal nostro paese in vista del traguardo posto al 2030 riguarda la didattica e la formazione dei docenti, il modo di fare scuola, di facilitare l’apprendimento, educando e istruendo per una sostenibilità sociale, economica e ambientale (MIUR, 2017).

——–
1 Preparare alla vita è finalità qui assunta senza specifiche declinazioni (per quale visione di società, per quale visione di individuo), che occorrerebbero disvelate, perché alla base di qualsiasi definizione e strutturazione della scuola come dispositivo pedagogico.

Bibliografia
Malizia G. (1990), Il Progetto’92 degli Istituti Professionali di Stato: un primo bilancio, in “Presenza CONFAP”, Supplemento al n. 2/90.
Massa R. (1997), Cambiare la scuola. Educare o istruire?, Laterza, Bari.
Massa R. (2004), Aprire al mondo. La scuola come spazio di vita, in Rezzara A. a cura di, Da una Scienza pedagogica alla clinica della formazione, FrancoAngeli, Milano.
Mortari L. (2010), a cura di, Dire la pratica. La cultura del fare scuola, Bruno Mondadori, Milano.
Recalcati M. (2014, L’ora di lezione, Einaudi, Torino.
Scandella O. (1995), Tutorship e apprendimento. Nuove competenze dei docenti nella scuola che cambia, La Nuova Italia, Firenze.
Scandella O. et al. (2002), La scuola che orienta. Percorsi, ruoli, strumenti, La Nuova Italia, Milano.
Scandella O. (2007), Interpretare la tutorship. Nuovi significati e pratiche nella scuola dell’autonomia, FrancoAngeli, Milano.
MIUR, Regolamento recante la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro e le modalità di applicazione della normativa per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro, n. 195 del 3 novembre 2017.
MIUR, Piano per l’Educazione alla Sostenibilità, 28 luglio 2017.

 

Ornella Scandella
Formatrice, orientatrice, esperta di tutorship, già presidente del Centro Studi Tutor, ha svolto attività di ricerca e ricerca-intervento presso CISEM, ISFOL, IRRE Lombardia in diversi ambiti tra cui orientamento, prevenzione della dispersione scolastica, formazione permanente; professore a contratto di psicopedagogia dei processi di insegnamento apprendimento e pratiche inclusive, TFA, Politecnico di Milano e Università degli Studi Milano Bicocca (2013, 2014); iscritta all’albo degli esperti ISFOL.