Laboratori im-possibili di pratica ludosofica e filosofica… per l’orientamento 5.0 – seconda parte

a cura di Arcangela Miceli e Salvatore Soresi

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I laboratori im-possibili relativi a motivazioni, aspirazioni, dilemmi decisionali

Un altro gruppo di giochi – L’anello di Gige, La biga alata, Eracle al bivio, La donna dalle tempie alate, ecc. –potrebbe fornire materiale ludosofico per altrettanti laboratori im-possibili. Condotti questa volta da un filosofo-utopista e da filosofe. Gli esiti del gioco, non preventivamente determinati, sono collegati direttamente ai costrutti relativi alle proprie motivazioni, aspirazioni, i dilemmi decisionali, la costruzione di scenari e, soprattutto, come ci si può prendere cura delle preoccupazioni.

Tommaso Campanella parte da un pre-testo, che lo riguarda direttamente, e fa leggere ai partecipanti: E s’allevan tutti in tutte l’arti. Dopo gli tre anni li fanciulli imparano la lingua e l’alfabeto nelle mura… li fan giocare e correre…li conducono nell’officine dell’arti…e mirano l’inclinazione (da La città del sole).

È chiaro che con queste parole il filosofo si rivolge agli educatori-orientatori. Tuttavia, dal momento che la pratica ludosofica rivede la relazione tra l’allievo e il docente, l’allievo e il sapere, tra la conoscenza e l’esperienza, in ogni interazione didattica e formativa i protagonisti diventano e sono tali proprio i destinatari della visione di Campanella che offre ai giocatori l’utopia delle ‘inclinazioni’. Il gioco che offre un’ottima possibilità di esplorare i propri talenti e le proprie aspirazioni, oltre a favorire l’apprendimento attraverso l’esperienza, è La donna dalle tempie alate. In questo gioco si intrecciano le posizioni speculari dei due filosofi, Campanella e Vico. I quali, attraverso immagini, simboli e metafore, rendono ‘praticabile’ e possibile una pedagogia vissuta in prima persona: quella che declina il sapere non più considerato nella dimensione astratta e inaccessibile. Quella che ‘pratica’, ricerca e intercetta interessi, bisogni e istanze della vita. Quella che consente al soggetto di ‘costruire’, dopo aver messo in luce tutti gli aspetti e i valori della propria personalità, una nuova visione del mondo. I partecipanti e le partecipanti, sollecitati dalle potenti suggestioni della Scienza nuova come del La città del sole, si rendono conto della propria capacità di autonomia, ma soprattutto della continua possibilità di cambiamento e di rinnovamento interiore sia nel valutare la propria esistenza che nel guardare il mondo. E, in maniera autonoma, di monitorare quelle risorse e potenzialità che spesso non sa di avere. La lettura dei dialoghi di Campanella e la scelta di simboli nella ‘Dipintura’ vichiana favoriscono l’orientamento nel saper riconoscere, intercettare e potenziare i propri talenti mediante l’auto-esplorazione, il dialogo con se stessi e il confronto dialogico; sollecitano l’ampliamento e il consolidamento delle competenze trasversali di base e predispongono il saper vivere la comunità in modo partecipe e attivo (cittadinanza attiva – educazione civica); sviluppando in tal modo il rapporto tra capacità creativa, conoscenza trasversale dei saperi e abilità dialogiche ed auto-esplorative. Mentre si gioca si crea un’atmosfera di benessere personale e di condivisione serena delle conoscenze (life skills). Si vive con spontaneità e naturalezza il passaggio dall’io, al tu, al noi, attraverso competenze efficaci e necessarie per una socialità partecipata e per la costruzione consapevole della comunità di studio, di vita e di lavoro… in cui si favorisce lo sviluppo della dimensione sociale e comunicativa, l’integrazione, l’inclusione e il rispetto della soggettività propria e altrui.

Un laboratorio im-praticabile su motivazione, interessi e libertà

L’attività ludosofica, ispirata al mito platonico de La biga alata, si incentra sul continuo esercizio dell’ascolto edovrebbe dunque avere come pre-testo e come ‘conduttrice’ di eccezione la filosofa Simone Weil. La quale afferma che “l’attenzione consiste nel sospendere il pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto, nel mantenere vicino al pensiero, ma a un livello inferiore e senza contatto con esso, le varie conoscenze acquisite che si è costretti a utilizzare. In un mondo che, nello studio, nella politica, persino negli spazi deputati all’istruzione, alla comunicazione e al pensiero, manca sempre più di attenzione. Queste parole richiamano ognuno di noi a una doppia responsabilità: non confondere l’attenzione con la prestazione e comprendere pienamente che è sempre un’apertura, un’attesa – attesa dell’altro, attesa di sé, attesa dell’Altro da sé…” (Weil 1999). I giocatori, come esito del loro giocare, confrontarsi ed ascoltare si educano all’ascolto attento e sono sollecitati e motivati ad apprendere. La necessità di ‘affiancare’ tutto il percorso educativo con motivazioni di consapevolezza di sé è uno degli elementi chiave di Simone Weil e di quella che possiamo chiamare ‘pedagogia della relazione’ dal momento che il fulcro del rapporto interattivo, come della stessa ricerca filosofica, è una “forma di comunicazione capace di coinvolgere pur senza venir meno al rigore dell’esposizione”. “L’intelligenza può essere guidata solo dal desiderio. Perché ci sia desiderio, occorre che ci siano piacere e gioia. L’intelligenza cresce e porta frutto solo nella gioia. La gioia di imparare e indispensabile agli studi, come la respirazione ai corridori. Dove essa è assente non ci sono studenti, ma povere caricature di apprendisti che al termine del loro apprendistato non avranno neppure un mestiere” (Weil 1999). E nel frattempo si educano all’azione e al gusto della bellezza…La passione per il mondo, per l’umanità, per la storia spingono all’azione. In Lezioni di filosofia appare chiaramente che l’azione è lo scopo della conoscenza: attraverso l’azione l’individuo prende piena consapevolezza di sé. Mentre l’arte e la bellezza sono orma di quel divino che in noi è fiamma e amore, per questo la filosofa considera l’arte un valore morale che “ci insegna che lo spirito può discendere nella natura, la morale, da parte sua, ci dice di agire conformemente ai pensieri veri. Il bello testimonia che l’ideale può passare nella realtà” (Weil 1999). Così come “Il poeta produce il bello con l’attenzione fissata su qualcosa di reale. Lo stesso avviene con l’atto d’amore. Sapere che quest’uomo, che ha fame e sete, esiste veramente come me, questo basta, il resto viene da sé” (Weil 1984)

Sempre nello stesso gioco filosofico di gruppo i e le partecipanti si misurano con la libertà, la propria libertà di scelta e di trasformazione. Le consegne che provengono dalla filosofa spagnola Maria Zambrano sono foriere di riflessione e preparano ogni giocatore a motivarsi al cambiamento e a vivere a pieno la propria libertà. Questi i contenuti tematici – tratti dalla sua opera Per l’amore e per la libertà (Zambrano 2008)– che la filosofa inserisce nelle varie fasi del gioco: la comunicazione tra i sensi. Tra il vedere e l’ascoltare. L’attenzione. Essenza e forma dell’attenzione. Areté, virtus, efficacia. La vita delle aule. La nascita dell’amicizia. La forza dell’esempio. Dissoluzione e condensazione del sentimento. La comunicazione tra i sensi: la delicatezza. L’enigma della gioventù. “Noi, i giovani…”. “La gioventù di oggi… e non ultimo quello sulla libertà.

E sembra sussurrare a ognuno: “Essere liberi significa saper e poter scegliere all’interno di una realtà in continua trasformazione, significa avere la libertà di capire le relazioni tra le cose che presenta il mondo in cui si vive. Libertà di capire tra loro le relazioni e soprattutto è la libertà di amare e di sentire quale tipo di amore connota questo tipo di movimento interiore” (adattamento da Zambrano 2008)

I laboratori im-possibili utili alla costruzione di scenari

Molti giochi, ma alcuni in particolare, quali Estia, La mongolfiera, Il villaggio ecologico, seguono l’iter del passaggio dall’io al tu, al noi e offrono materiali di riflessione utili a ‘prefigurarsi’ scenari di vita e di lavoro e rendono i partecipanti attori e protagonisti per la costruzione della comunità.

Nel momento in cui, nel corso del gioco Estia, si chiede ai e alle partecipanti di scegliere e svolgere la propria attività all’interno del contesto comunitario che si va delineando, la filosofa Hanna Arendt sarà la più adatta a fornire sollecitazioni. Nel delineare le procedure qualitative del lavoro la Arendt mantiene la triadicità intorno ai tre cardini concettuali dell’attività lavorativa: Il lavoro, l’opera e l’azione. Del primo dice: “Siamo lasciati nell’alternativa piuttosto angosciosa fra schiavitù produttiva e libertà improduttiva”› della seconda: le opere sono “le modalità in cui gli esseri umani appaiono gli uni agli altri non come oggetti fisici ma in quanto uomini” e dell’azione “Agendo e parlando gli uomini mostrano chi sono, rivelano attivamente l’unicità della loro identità personale, e fanno così la loro apparizione nel mondo umano” (Arendt 1958) “Non potrebbe esistere vita umana[…] senza un mondo che attesti[…]la presenza di altri esseri umani.[…] L’azione non può essere nemmeno immaginata fuori della società degli uomini›› (Arendt 1958).

La declinazione di questi tre aspetti viene ‘vissuta’ direttamente dai giocatori ludosofi che sentono sottesa l’analisi e l’esistenza stessa di ogni forma di aggregazione tra esseri umani. E se è vero che ogni comunicazione umana, veicolata dal rapporto dialogico tra individui e tra individuo e gruppo, possiede un contenuto e un canale di trasmissione, è vero che la modalità con cui un pensiero/concetto/riflessione viene consegnato ad un altro-da-sé rappresenta l’aspetto più interessante sia per ciò che concerne il presente lavoro che per la fecondità che emerge dal raffronto tra alcuni aspetti della filosofia della Arendt e le dinamiche sociali legate all’orientamento. Non a caso la riflessione arendtiana sul rapporto tra lo spazio pubblico e la sfera privata ha il suo paradigma di riferimento nella polis greca, che, sola nei secoli, ha saputo coniugare la libertà del singolo con la libertà politica. “Il sorgere della città-stato significò per l’uomo ricevere “accanto alla vita privata una sorta di seconda vita, il suo bios politikose […] c’è una distinzione nella sua vita tra il suo proprio (idion) e ciò che è in comune(koinon)” (Arendt 1958, p.128-130). L’identità dunque versus l’alterità e la comunità è un passaggio obbligato in ogni gioco; Estia, in particolare, offre la possibilità di prefigurare il futuro – anche in Husserl, come si è visto – grazie alla capacità immaginativa e creativa. Così Hanna Arendt mentre stimola nei giocatori la capacità immaginale: «La memoria, … ha a che fare con cose assenti, scomparse dai sensi. Pure, l’assente che è evocato e reso presente alla mente – una persona, un evento, un monumento – non può apparire nel modo in cui appariva ai sensi, come se il ricordo equivalesse a una sorta di stregoneria. Per apparire soltanto alla mente, esso deve dapprima essere desensibilizzato, e alla capacità di trasformare oggetti sensibili in immagini diamo il nome di ‘immaginazione’» (Arendt 2009).

I laboratori im-possibili che correlano le preoccupazioni alla vulnerabilità

Il laboratorio incentrato sul gioco l’anello di Gige ha trovato interlocutrici feconde nella filosofa Marta Nussbaum e nella sua commentatrice e filosofa a sua volta, Valeria Bizzarri. Il punto debole di Gige è la sua fragile condizione di invisibilità che gli consente di essere recettivo ma non interattivo sul piano relazionale. Può infatti ascoltare non visto ciò che gli altri dicono di lui, ma non può difendersi né controbattere. I testi della Nussbaum sul rapporto tra ragione ed emozione mettono in evidenza il fatto che le emozioni sono elementi essenziali dell’intelligenza umana, con conseguenze importanti e significative in diversi ambiti, specialmente nel pensiero sociale e politico. “Ogni riflessione che, al giorno d’oggi, voglia interrogarsi sulla configurazione dell’identità personale e sociale non può evitare di analizzare una caratteristica apparentemente paradossale, dell’età in cui viviamo, ossia il fatto che l’ormai strutturale globalizzazione delle società odierne ha prodotto e sta producendo effetti tra loro opposti quali, da un lato l’omologazione, dall’altro la radicalizzazione delle differenze…” (Nussbaum 2007). L’appartenenza a una comunità anche come soggetti di diritti e lo sviluppo della persona visto come obiettivo politico qualificante di una società giusta. L’azione politica, quindi, deve dare valore a ciò che le persone sono realmente in grado di fare e di essere, potenziando le loro capacità e supportando un ambiente che consenta a ciascuno un normale sviluppo delle capacità, senza nessuna differenza tra normodotati e persone con disabilità, costituiscono degli ottimi pre-testi a questo come ad altri giochi (Miceli 2024).

La consegna di come fare per realizzare una buona vita rende Valeria Bizzarri protagonista/facilitatrice della seconda parte del gioco, quando i vari ‘Gige’ si misurano con le emozioni che informano l’individuo sul mondo proprio in base a valutazioni etiche che riguarda­no i suoi progetti personali, al fine di realizzare la ‘vita buona’. La consegna fa leva su quell’in­telligenza emotiva senza la quale la mera razionalità risulterebbe incompleta. E se “gli Stoici, Platone, e anche Spinoza hanno considerato la pietà sintomo di debolezza, quindi elemento da debellare, a favore dell’autosufficienza, la compassione è fondamentale per la vita intersoggetti­va. Grazie ad essa, infatti, siamo in grado di vederci come gli altri, ugualmente vulnerabili e con le medesime possibilità di sventura…” rispetto alla reciprocità, l’autrice sottolinea “l’impor­tanza del rispet­to per la personalità dell’altro e della reciprocità del sentimento d’amore. La reciprocità implica l’accettazione e il superamento della propria vulnerabilità e contingenza, e la rinuncia a quella volontà di controllo e di onnipotenza che aveva caratterizzato il pensiero plato­nico e stoico…” (Bizzarri 2018). Il gioco e il laboratorio stanno per concludersi quando la Bizzarri pone la domanda chiave: come ognuno di voi può prendersi cura della propria vulnerabilità? Il rischio è ricominciare d’accapo. L’enumerazione cartesiana ci aiuta ancora una volta a ripercorrere l’esperienza e a sintetizzare le possibilità: Quando siamo ‘costretti’ (e i giovani lo sono sempre per condizione e vincolo) a misurarci con il mondo esterno e a stabilire legami importanti per il nostro benessere e per la nostra vita, incappiamo sicuramente in emozio­ni di fondo forti. “Un’emozione di fondo può, tuttavia, diventare situazionale, ovvero trovare un contesto adatto per affiorare: è il caso, ad esempio, di un soggetto con della rabbia repressa, che, se provocato, fa emergere il proprio sentimento”. E se “le prime consistono nel mero riconosci­mento dell’esistenza di qualcosa per noi importante e dal quale siamo in un certo senso dipen­denti, dato che non possiamo governarlo a nostro piacimento, le seconde consistono invece in una reazione attiva a tale constatazione. L’intelligenza emotiva (intercetto e distinguo i miei sentimenti) e l’eudaimonia aristotelica (riconosco i miei veri bisogni e cerco di ‘colmarli’) spesso possono diventare una possibilità per realizzare l’aspirazione a una ‘vita riuscita’.

Essere un corpo vivo non solo permette di avere coscienza di sé…, ma anche di percepire l’altro, così uguale seppur così diverso e distante. Il ruolo del corpo all’interno della costituzione intersoggettiva si rivela infatti cruciale proprio per la sua duplice funzione di motivare l’analogia ma allo stesso tempo mantenere la distanza e preservare l’unicità degli individui. Laddove, infatti, vedo un corpo vivo ed espressivo simile al mio…, lo stesso corpo vivo è proprio quell’elemento che non mi permette di condividere gli stessi identici vissuti altrui… per rapportarsi al mondo in modo diretto, senza aver bisogno di sovrastrutture concettuali e razionali (almeno in un primo momento), in una modalità di conoscenza meramente pratica e pragmatica (praktognosia) (Bizzarri 2018).

Una im-possibile tavola rotonda sulle risorse riguardo alle preoccupazioni/ansie e problemi nel passato, nel presente e nel futuro e in direzione dell’orientamento.

Tre autori/filosofi si trovano intorno a una tavola rotonda e ognuno consegna e mette al centro del tavolo il proprio aforisma.

Agostino di Ippona ha scrittoIl tempo interiore e la dimensione esperienziale del tempo: il tempo in sé non esiste; esistono solo le realtà finite con le quali, in una prospettiva di orientamento 5.0, è necessario confrontarsi, proprio e in quanto sono ‘in fieri’. In sé il tempo non è niente, perché il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente non è ma scorre irrimediabilmente via, scorrendo nel passato.

Roberta de Monticelli sostiene che è bene fidarsi dell’‘ordine del cuore’ e continua: Il ‘sentire’ è componente fondamentale della nostra affettività, esplorata nelle diverse manifestazioni: dalle infinite sfumature affettive della percezione sensoriale alla vicenda degli stati d’animo, dagli umori alle emozioni, dai sentimenti alle passioni, lette in chiave di consapevolezza prima di agire e di scegliere.

E infine Carlo Rovelli ci dimostra che il modo più consono con cui vedere e pensare alla realtà è il cambiamento, la trasformazione. C’è infatti una fondamentale distinzione fra ‘cose’ ed ‘eventi’. Le ‘cose’ sembrano permanenti, sembrano avere sostanza durevole, mentre gli eventi sono volatili, non durano, non permangono nel tempo. Di quest’ultimo, dunque, si possono cogliere gli aspetti ‘reversibili’ della nostra esistenza temporale (in un giovane che ha come connaturata l’eternità e l’inamovibilità della sua condizione di vita inserire il concetto ‘bastardo’ (Soresi 2023) attiva l’indignazione, e cioè la disponibilità a rivedere il proprio percorso (torna Cartesio con l’enumerazione, la capacità di revisione…) e di innescare processi di modificazione. E percepire la consapevolezza come libertà di scegliere il proprio destino. Si realizza uno strano paradigma della coscienza: il migliore dei mondi possibili, ma anche la vita come possibilità, armonia e scelta di felicità.