La precarietà del mercato del lavoro attuale: una sfida per l’orientamento

La precarietà del mercato del lavoro attuale: una sfida per l’orientamento

a cura di Ilaria Di Maggio, Università degli Studi di Padova

Come noto, il mercato del lavoro negli ultimi due decenni si è notevolmente modificato, caratterizzandosi per fenomeni come quello della globalizzazione e dell’accelerazione del progresso tecnologico. Questi cambiamenti sembrano avere un impatto significativo anche sulle modalità di svolgimento delle occupazioni, con un numero minore di posizioni stabili e un numero maggiore di lavori ‘flessibili’, che spesso si traducono in forme di occupazione temporanee e precarie (García-Pérez et al., 2017; Zia, 2008). In questo contesto, l’idea di una carriera professionale lineare, che prevede una formazione iniziale, un breve periodo dedicato all’inserimento lavorativo e il successivo conseguimento di una posizione stabile con contratto a tempo indeterminato, diventa, se non proprio irrealistica, certamente difficilmente concretizzabile (Kuijpers, Schyns, & Scheerens, 2006). I lavoratori, sempre più frequentemente, si trovano, di fatto, a dover affrontare, nel corso della loro vita lavorativa, numerose esperienze lavorative precarie e molteplici transizione lavorative, incrementando in tal modo sentimenti di disagio ed incertezza in molte persone (King, 2004; Savickas et al., 2009; García-Pérez et al., 2017)

Sebbene non esista una definizione operazionale di lavoro precario, ed è possibile riscontrare numerose divergenze in letteratura in merito agli elementi che lo caratterizzano, nel definire il lavoro precario, recentemente Gutiérrez-Barbarrusa (2016) ha enucleato quattro principali dimensioni:

  • l’insicurezza in merito alla continuità del rapporto di lavoro. Si tratta di una condizione che si applica ai lavori temporanei, autonomi-dipendenti, all’occupazione clandestina o a tutte quelle posizioni lavorative minacciate da un elevato rischio di perdita del lavoro. L’insicurezza sulla continuità della relazione lavorativa è una dimensione del lavoro precario in quanto rende difficile per i lavoratori esercitare il controllo sul loro futuro professionale e sociale e aumenta la loro vulnerabilità nei confronti dell’azienda.
  • salario insufficiente o remunerazione discriminante. Questa forma di precarietà è associata a posti di lavoro che non consentono a chi li svolge di ottenere l’indipendenza economica o addirittura di essere riconosciuti come ‘lavoratori’. Questo è il caso di un impiego part-time e occasionale, che lascia i lavoratori dipendenti dalla loro famiglia di origine o dai loro beneficiari. Questa dimensione della precarietà comprende anche la discriminazione salariale, per cui i datori di lavoro approfittano della vulnerabilità di alcuni lavoratori per perseguire discrezionalmente con politiche salariali differenziate.
  • deterioramento del rapporto di lavoro e vulnerabilità dei lavoratori in termini di ore e intensità di lavoro, promozione, salute e sicurezza. Questi aspetti sono associati a condizioni sub-standard (in termini di ore e intensità del lavoro, promozione, salute e sicurezza, ecc.) e la mancanza di controllo da parte dei lavoratori in merito a queste condizioni.
  • indebolimento della protezione sociale dei lavoratori. Questo elemento ha due aspetti significativi legati alla deregolamentazione. Il primo è il progressivo declino della legislazione delle condizioni lavorative a supporto dei lavoratori e alla maggiore discrezionalità da parte dei datori di lavoro. Il secondo aspetto è l’insufficiente copertura dei regimi pubblici di protezione sociale, in particolare per quanto riguarda le indennità di disoccupazione e le pensioni, che aumentano i livelli di incertezza e vulnerabilità dei lavoratori nei confronti delle forze di mercato.

Sebbene sia difficile tracciare una chiara distinzione tra lavoro precario e non precario, dal momento che le dimensioni sopra elencate influiscono su tutte le forme di impiego a vari livelli e in modi diversi, secondo Kretsos e Livanos (2016) alcune forme occupazionali sono maggiormente a rischio di precarietà. Tali dimensioni infatti caratterizzano soprattutto i lavori atipici, i lavori ‘fragili’ (ovvero condizioni lavorative ad alto rischio di licenziamento per tagli nonostante si basino su contratti stabili) e i lavori caratterizzati da condizioni di lavoro deteriorate. Peraltro si applicano soprattutto ad alcuni settori economici, in particolare il settore agricolo, di ristorazione e quello prettamente culturale in cui i contratti a tempo determinato o stagionale e il lavoro in subappalto sono molto frequenti. Infine, alcuni gruppi sono più a rischio di intraprendere un lavoro precario: donne, giovani, persone con esperienze di migrazione (Ginevra, Di Maggio, Nota, & Soresi, 2017; Kretsos, 2010, Vosko et al., 2010).

La percezione di instabilità che si associa a forme occupazionali temporanee può favorire, soprattutto nei gruppi maggiormente a rischio (donne, giovani, persone con vulnerabilità ed esperienza di migrazione), maggiori difficoltà nel formulare piani e progetti personali e professionali per il proprio futuro e barriere allo sviluppo professionale. Diventa pertanto importante nelle attività di orientamento dedicare una specifica attenzione all’analisi e alla valutazione di tale percezione, anche al fine di delineare specifiche azioni di intervento.

In merito all’assessment, come precisato da Kretsos e Livanos (2016), data la complessità e la multidimensionalità del lavoro precario è difficile prevedere una valutazione esaustiva in grado di catturare tutti gli aspetti e i diversi livelli di intensità che lo caratterizzano. Tale complessità è aggravata anche dai diversi criteri (oggettivi vs soggettivi) che possono essere applicati all’analisi del lavoro precario. Più nello specifico i criteri oggettivi puntano maggiormente l’attenzione sulle condizioni industriali e politiche che espongono i lavoratori all’insicurezza (ad esempio il tipo di contratto) mentre le misure soggettive fanno riferimento alla percezione di insicurezza da parte del lavoratore (ad esempio la paura di perdere il lavoro attuale) (Chan, 2013).

Per quanto concerne le misure soggettive, Kretsos e Livanos (2016) focalizzano l’attenzione sulla valutazione delle condizioni di lavoro precario che sono involontarie per il lavoratore, isolando quindi tutte le forme occupazionali che pur essendo atipiche e a termine possono essere percepite come un’occasione di flessibilità piuttosto che come una condizione di lavoro negativa.

Per quanto concerne le misure oggettive, Garcıa-Perez e collaboratori (2017) propongono di quantificare il lavoro precario basandosi su tre dimensioni che sono il salario percepito, la tipologia di contratto e la tipologia di giornata lavorativa. In merito al salario percepito, la soglia per definire un lavoro precario è relativa ad una retribuzione oraria inferiore al 60% della mediana della retribuzione nazionale. In merito alla tipologia di contratto, un’occupazione temporanea viene considerata a rischio di precarietà; e infine per quanto concerne la terza dimensione, il tempo part-time è considerato a rischio di precarietà. Basandosi su tali dimensioni, gli autori calcolano un indice di precarietà multidimensionale, che si basa in altre parole su una nuova variabile P, che è data dalla somma degli svantaggi del lavoro negli indicatori visti precedentemente. Tale indice ha un range che va da 0 a 3 e permette di classificare i lavori come precari o non. Pertanto, un lavoro è precario dal punto di vista multidimensionale se il valore di P è maggiore di zero.

La constatazione di un rischio di precarietà lavorativa, valutato mediante criteri oggettivi o soggettivi, dovrebbe suggerire la realizzazione di specifiche attività di intervento finalizzate a favorire lo sviluppo di risorse e abilità che permettano alla persona di formulare obiettivi professionali maggiormente in sintonia con i tempi attuali.

Bibliografia
García-Pérez, C., Prieto-Alaiz, M., & Simón, H. (2017). A new multidimensional approach to measuring precarious employment. Social Indicators Research134(2), 437-454.
Ginevra, M. C., Di Maggio, I., Nota, L., & Soresi, S. (2017). Stimulating resources to cope with challenging times and new realities: Effectiveness of a career intervention. International Journal for Educational and Vocational Guidance17(1), 77-96.
Gutiérrez-Barbarrusa, T. (2016). The growth of precarious employment in Europe: Concepts, indicators and the effects of the global economic crisis. International Labour Review155(4), 477-508.
King, Z. (2004). Career self-management: Its nature, causes and consequences. Journal of Vocational Behavior, 65, 112–133.
Kretsos L. (2010). The Persistent Pandemic of Precariousness: Young People at Work. In: Tremmel J. (eds).  A Young Generation Under Pressure? (pp. 3-21). Berlin, Heidelberg: Springer.
Kretsos, L., & Livanos, I. (2016). The extent and determinants of precarious employment in Europe. International journal of manpower37(1), 25-43.
Kuijpers, M. A. C. T., Schyns, B., & Scheerens, J. (2006). Career Competencies for Career Success. The Career Development Quarterly, 55, 168-178.
Savickas, M. L., Nota, L., Rossier, J., Dauwalder, J. P., Duarte, M. E., Guichard, J., Soresi, S., Van Esbroeck, R., van Vianen, A. E. M. (2009). Life designing: A paradigm for career construction in the 21st century. Journal of Vocational Behavior, 75, 239-250.
Vosko, L. F. (2010). Managing the margins: Gender, citizenship, and the international regulation of precarious employment. New Yourk: Oxford University Press.
Zia, F. (2008). Il lavoro e il mutamento del contesto socioeconomico. Alcune riflessioni. Trento: Uni Service Editrice.