Si riporta la presentazione del volume a cura di Salvatore Soresi, Laura Nota e Maria Cristina Ginevra
Sono numerose le ragioni per le quali siamo particolarmente contenti di aver stimolato la stesura di questo volume grazie al coinvolgimento e alla collaborazione di un numero consistente di colleghi che hanno accettato l’invito a ‘ragionare’ sul counselling e sui servizi che possono essere attivati al fine di incrementare la qualità della vita delle persone. Le ragioni di questa nostra soddisfazione sono numerose, ma su due desideriamo soffermarci almeno un po’ in questa presentazione.
In primo luogo con questo volume, innanzitutto, siamo riusciti a selezionare i contributi più significativi che sono stati presentati nell’ambito di una giornata di studio organizzata dall’Università di Padova in onore di Edoardo Arslan che, nel panorama nazionale e non solo, è stato uno dei più convinti sostenitori della necessità di dotare gli Atenei Italiani di adeguati servizi di counselling e di supporto allo studio degli studenti con disabilità al fine di garantire loro un effettivo diritto allo studio e alla partecipazione alla vita universitaria. Questo convincimento lo aveva, tra l’altro, portato a sostenere con vigore l’attivazione di un Centro di Ateneo di Servizi e Ricerca in materia di Disabilità ritenendo che la ricerca in questo settore, come d’altra parte anche il diritto allo studio e all’inclusione, fossero questioni di ateneo richiedenti il coinvolgimento e la condivisione di tutti e non qualcosa appannaggio di questo o quel raggruppamento disciplinare, di questo o quel dipartimento, né di un esiguo numero di dipartimenti. Le questioni dei diritti delle persone e dell’attenzione alla qualità della loro vita e delle condizioni da mettere in atto per la loro crescita culturale, scientifica e, perché no, anche morale e sociale sono questioni che necessitano di un attento e sensibile governo centrale, soleva dire.
In effetti, da quando agli inizi degli anni ‘90 si è insediata presso l’Università di Padova la prima commissione di ateneo per la disabilità, Edoardo Arslan ha continuato a manifestare la sua insoddisfazione per ciò che veniva realizzato nel convincimento che si potesse e dovesse sempre fare di più e di meglio e, questo, perché era una persona che a livello professionale ed umano non si accontentava facilmente.
Tre anni fa era presente ad un convegno internazionale che era stato dedicato al futuro e alla necessità di instillare speranza: era rimasto colpito dal motto di S. Agostino che avevamo scelto per quell’evento: “la speranza ha due bellissimi figli… il primo si chiama indignazione per come vanno le cose e l’altro coraggio per provare a cambiarle”. Gli era piaciuto questo pensiero in quanto, a suo avviso, sarebbero molti coloro che riescono ad arrabbiarsi e ad indignarsi per come vengono trattati … ma decisamente pochi quelli che si indignano per come vengono trattati gli altri e sono ancora meno quelli che hanno il coraggio di fare qualcosa soprattutto quando se si tratta di andare controcorrente … di dire non ci sto… di rifiutare ‘l’abbiamo sempre fatto così’… o il …non si può fare… Un alleato disinteressato della speranza, dell’indignazione e del cambiamento secondo Edoardo Arslan si chiama verifica e valutazione… quante ne facciamo all’interno dei nostri servizi? Quanti cambiamenti e miglioramenti in favore dell’inclusione, le relazioni e documentazioni di ciò che i servizi realizzano testimoniano effettivamente la presenza di passi significativi verso un’inclusione di qualità? Invece di limitarci a presentare elenchi di iniziative e di accessi, e dati ed indici di gradimento… dovremmo produrre più stime di miglioramento della qualità della vita delle persone e dei contesti… verifichiamo di più e così saremo costretti a cambiare, a migliorare, suggeriva spesso.
Un secondo motivo che ci fa salutare con soddisfazione la pubblicazione di questo volume è collegato alle energie che assieme a Laura Nota e agli altri membri del La.R.I.O.S (Laboratorio di Ricerca ed Intervento per l’Orientamento alle Scelte) abbiamo, dal 2013, entusiasticamente investito nel promuovere il Netwok Universitario per il Counselling (Network Uni.Co). L’idea di dar vita un network universitario italiano che in modo simile a quanto stava avvenendo in altri contesti internazionali per approfondire la delicata questione della formazione e certificazione delle competenze in materia di counselling è stata motivata essenzialmente da tre ordini di ragioni:
1) La recente crisi economica che ha investito pure il nostro paese ha interessato, tra l’altro, anche le professioni di tipo psicologico che sembrano essere destinate ad avere poco futuro se continueranno, soprattutto, come è avvenuto in passato, ad ispirarsi unicamente ai nostri tradizionali raggruppamenti disciplinari di tipo accademico (psicologia generale, dello sviluppo, clinica, del lavoro, ecc.). Di fatto i cambiamenti che si stanno registrando nel mondo del lavoro e che si succedono con notevoli accelerazioni penalizzano in particolare quelle professioni che continuano ad orientarsi al passato e che non sono riuscite a preparasi ad affrontare con prontezza, nell’accezione di Lent (2013), le sfide e le minacce all’inclusione professionale derivanti dalla globalizzazione, prima, e dalla crisi economico-finanziaria, poi (Ferrari & Soresi, 2012; Fouad & Jackson, 2013) Tutto questo, in Italia, non poteva non riguardare le professioni psicologiche dal momento che da noi, da una trentina di anni a questa parte, si sono moltiplicate a dismisura le offerte formative, che, per altro, hanno continuato ad esercitare, sulle giovani generazioni e a livello di scelta formativa universitaria, consistenti attrazioni. Il lavoro recente di Bosio e Lozza (2014) a proposito dell’attuale occupabilità degli psicologi che vengono laureati dai nostri atenei, da questo punto di vista, non può che essere considerato un ulteriore campanello di allarme che dovrebbe essere indirizzato innanzitutto a coloro che governano e traggono vantaggi dall’esistenza di accessi, di fatto non regolamentati, alle Scuole e ai Corsi universitari di psicologia e, quindi, ad un ordine professionale che continua a far registrare in Italia il più elevato livello di crescita in confronto alle altre professioni ordinistiche. Come ricordano ancora Bosio e Lozza, gli psicologi in Italia sono decisamente tanti: il rapporto psicologi/popolazione in Italia oggi è di 1/680 mentre era di 1/1.500 agli inizi degli anni 2000; un quarto degli psicologi attivi in Europa, inoltre, è italiano e la densità psicologo/popolazione è di gran lunga più elevata in Italia che negli altri paesi UE.
Si tratta di dati preoccupanti anche in considerazione del fatto che il lavoro psicologico del futuro non avrà molto mercato e, stando ad indagini nordamericane, quello che ci sarà riguarderà soprattutto il counselling, ma un tipo di counselling decisamente diverso da quello che siamo stati sinora abituati a considerare. In futuro avranno maggiori probabilità di risultare attraenti, per quanto concerne l’ambito dell’applicazione della psicologia, quei professionisti che dimostreranno di essere in grado di proporre soprattutto interventi poco costosi, brevi ma efficaci, per piccoli e grandi gruppi, finalizzati all’incremento delle abilità di problem solving, dell’empowerment e dell’autodeterminazione delle persone; che saranno in grado di supportare interventi formativi e di aiuto a distanza, di utilizzare linguaggi e collaborazioni multidisciplinari, interventi improntati ad elevata flessibilità, adaptability e di allargare i propri ambiti di competenza (Nota & Soresi, 2015; Soresi & Nota, 2014)
2) La seconda ragione che ha stimolato la nascita del network è di natura più marcatamente accademica. Sul versante della ricerca i contributi che le università italiane stanno offrendo al ridimensionamento dei problemi di cui sopra sono decisamente scarsi. Sono necessari maggiori investimenti e sarebbe opportuno potenziare le scuole di dottorato in questa direzione. L’Europa, in questa direzione, ha finanziato un progetto a cui partecipano una ventina di università, Padova ne è il capofila, per sperimentare un progetto di formazione, un dottorato in counselling avente almeno un respiro europeo e non essere, come spesso accade, la riproposizione delle già esistenti tradizioni locali di ricerca. Sul versante della formazione l’università, inoltre, sembra tacere sul fatto che da noi in materia di counselling esiste una vera e propria ‘giungla’ di iniziative e di posizioni che non sempre appaiono autenticamente orientate a supportare la serietà e la delicatezza del counselling. Solo alcuni dati: una stima approssimativa fatta attraverso una ricognizione delle presentazioni on-line documenta l’esistenza di oltre 300 ‘soggetti’ titolari di percorsi di formazione in counseling, un numero imprecisato di counsellor accreditati da questa o quella associazione, 80 corsi triennali di specializzazione in counselling, una cifra indeterminata di corsi, master, percorsi, ecc. che rilasciano un titolo di counsellor, percorsi formativi strutturati della durata variabile (da 7 giorni a 3 anni), tasse di iscrizione che vanno da poche decine di euro ai 4/5000, un numero imprecisato di tipologie di counselling (counselling nutrizionale, aziendale, orientativo, sanitario, giuridico, filosofico, psicopedagogico, didattico, psicologico, infermieristico, genetico, spirituale, ecc.). In presenza di questa ‘giungla’ si è ritenuto opportuno favorire, con la proposta della nascita di un network universitario, un confronto fra gli studiosi del counselling interessati a stimolare l’attenzione degli Atenei Italiani sulle questioni della formazione e della certificazione delle competenze professionali in materia ritenendo che, di fronte alla ‘giungla’ di cui sopra, l’Università dovesse far sentire la propria voce avanzando proposte e linee guida condivise.
3) La terza ragione che ha portato alla nascita di Uni.Co è stata l’emanazione della legge 4/13 che ha affidato alle associazioni professionali di natura privatistica anche, tra gli altri, i compiti di:
a) valorizzare le competenze dei propri iscritti;
b) promuovere la loro formazione continua;
c) vigilare sulla condotta professionale degli associati;
d) individuare i titoli di studio necessari;
e) indicare l’eventuale obbligo di aggiornamento;
f) accertare l’effettivo assolvimento di tale obbligo (art. 5);
g) rilasciare attestazioni relative agli standard qualitativi e di qualificazione professionale, che tuttavia non rappresentano requisito necessario per l’esercizio dell’attività professionale (art. 7).
Si tratta di una legge che riguarda da vicino anche coloro che sono interessati al counselling in quanto, come recita il suo primo articolo, trattasi di “una professione non organizzata in ordini o collegi […] volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi” (art. 1, comma 2).
Il dettame di legge precisa ancora che “I professionisti possono costituire associazioni professionali (con natura privatistica, fondate su base volontaria e senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva) con il fine di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza” (art. 2, comma 1). “Le associazioni professionali, continua la legge, promuovono, anche attraverso specifiche iniziative, la formazione permanente dei propri iscritti…” (art. 2, comma 3).
In occasione della prima giornata di studio, tenutasi a Roma presso il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) il 10 giugno 2013, Soresi, nell’avviarne i lavori, aveva ricordato che la necessità di dar vita al Network si reggeva sul convincimento che come persone interessate alla ricerca e alla formazione anche gli universitari avrebbero dovuto fare la loro parte dichiarando, sia all’interno che all’esterno degli atenei, cosa pensassero e cosa ritenessero opportuno proporre a proposito di una serie di nodi che attendono ancora chiare ed operative risposte. Più in particolare si riferiva alla necessità di indicare:
1. Gli ambiti di intervento del counselling da prendere in considerazione come, ad esempio, quelli in favore del disagio psicosociale, dell’orientamento, del lavoro, delle organizzazioni, della riabilitazione e del supporto psicopedagogico, della consulenza alle coppie e alle famiglie, della salute e del benessere di persone e gruppi, dello sport, della mediazione culturale, ecc. (Cottone, 2014; Kaplan, Tarvydas, & Gladding, 2014; Nota, Soresi, Ferrari, & Ginevra, 2014)
2. La tassonomia che sarebbe stato opportuno fare riferimento, riflettendo se fosse stato più vantaggioso limitarsi a considerare, ad esempio, solo forme di conselling prettamente psicologico, o ritenere più promettente, più in sintonia con i segnali di cambiamento che in diversi parti del mondo si stanno registrando, aprirsi anche a forme di counselling maggiormente multidisciplinari, sociali, educative, filosofiche, economiche, ecc.;
3. La formazione da proporre a coloro che sono interessati allo svolgimento di professioni ascrivibili agli ambiti di cui sopra, ritenendo che qualsiasi attività di counselling, in ogni caso, dovesse necessariamente richiedere una formazione di base elevata (almeno un quinquennio) e percorsi specifici di approfondimento post-lauream (Master e Corsi di Perfezionamento);
4. L’eventuale forma di accreditamento e di certificazione delle competenze, in considerazione del fatto che ci si sta di fatto muovendo verso l’eliminazione del valore legale dei titoli di studio in favore di forme specifiche di accreditamento e di certificazione delle competenze, considerando la possibilità di affiancare ai titoli che rilasciano le università un qualche ‘bilancio delle competenze acquisite’.
A quella prima giornata di studio ne sono seguite molte altre; tra le ultime figura anche il Convegno “Il counselling e l’orientamento in Italia e in Europa” all’interno del quale sono stati presentati molti dei contributi che sono stati raccolti in questo volume e che ha rappresentato un’occasione preziosa sia per diffondere il “Manifesto del Netvork sul counselling”, che è liberamente scaricabile dal sito del La.R.I.O.S (larios.psy.unipd.it) sia per accrescere il consenso a proposito della necessità di ripensare i modelli tradizionali di intervento nell’ambito dell’orientamento e dei servizi di aiuto alla persona tramite l’ammodernamento dei modelli teorici, dei metodi e degli strumenti utilizzati. Soresi, in quell’occasione, nell’introdurre i lavori congressuali ha ricordato una SWOT analysis che era stata condotta assieme a Mary e Puncky Heppner considerando le risposte che un gruppo di circa 200 studiosi provenienti da una sessantina di paesi avevano fornito ad alcune domande-stimolo a proposito di: a) quali erano, a loro avviso, le nuove sfide che ci si trovava a dover affrontare; b) come sarebbe stato possibile aiutare le persone più vulnerabili; e c) come fornire al counselling e all’orientamento una maggiore rilevanza sociale. Sui testi così raccolti e seguendo le indicazioni metodologiche di Savickas (2003), sono stati sintetizzati i punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce che riguarderebbero l’orientamento e il counselling. In questa sede ricordiamo solamente i punti di forza e di debolezza che, tra l’altro, saranno ripresi in diversi contributi di questo scritto.
I punti di forza più frequentemente citati sono stati 4:
1. La consapevolezza che l’orientamento e il career counseling hanno la possibilità di aiutare le persone a descrivere i propri obiettivi, aiutare a pianificare i progetti professionali e sostenere i loro desideri anche in epoca di crisi.
2. La constatazione che l’orientamento e il career counseling sono in grado di fornire alle persone strumenti socio-culturali utili alla gestione della complessità, alla promozione dell’employability e dell’intraprendenza.
3. La possibilità di lavorare in modo personalizzato, dando vita ad azioni di counselling e di intervento che valorizzino l’unicità delle persone evitando approcci standardizzati, e puntando ad interazioni professionali di elevata qualità.
4. L’aver messo a disposizione dei professionisti modelli nuovi in grado di canalizzare la loro attenzione su dimensioni che appaiono maggiormente significative per la costruzione professionale come l’adaptability, la resilienza, la persistenza, l’autodeterminazione, l’autoregolazione, e a mettere in luce i punti di forza delle persone, instillando speranza, tenendo alte le aspirazioni e favorendo lo sviluppo di forme ricche di identità professionale.
Altri punti di forza che sono stati segnalati riguardano l’importanza di intraprendere azioni a vantaggio della solidarietà sociale, dell’insegnare alle persone a riconosce i segni dello sfruttamento su di sé e sugli altri, e dell’agire per promuovere lo sviluppo del capitale sociale, un benessere equo e sostenibile.
Come noto i diversi modelli di SWOT analysis consentono di evidenziare anche i cosiddetti punti di debolezza che si potrebbero intravedere e che renderebbero difficile il lancio di un prodotto, il successo di una iniziativa a causa degli investimenti e dei costi aggiuntivi che sarebbe necessario sostenere e che potrebbero far ritenere poco vantaggioso il perseguimento dell’innovazione in questione. I punti di debolezza individuati e che di fatto ostacolerebbero il successo delle nuove visioni dell’orientamento e del counselling hanno riguardato soprattutto:
1. La necessità di assumere un’ottica multidisciplinare per riuscire a comprendere meglio la complessità attuale e sviluppare interventi innovativi. È, questa, forse la barriera più difficile da abbattere: a quali discipline spetta il compito di indicare modelli e prassi in materia di orientamento e di counselling? In quante occasioni si assiste a progetti di ricerca e ad azioni veramente multidisciplinari? Quanta psicologia dell’orientamento hanno imparato gli economisti che si interessano di risorse umane, di career counselling, di mercato del lavoro e viceversa? Quanta economia e psicologia sarebbero disposti a studiare? E quanta sociologia, antropologia, diritto e filosofia?
2. Un altro punto di debolezza segnalato è associato al fatto che il rinnovamento nelle pratiche di counselling e la loro capacità di fittare effettivamente con le realtà che incontriamo sono affidate anche al ricorso a sistematiche operazioni di valutazione dell’efficacia in termini di misura di cambiamenti prodotti. Da questo punto di vista si segnala che maggiori sforzi dovrebbero essere dedicati anche alle situazioni più difficili, per poter cambiare ‘i destini’ di coloro che sembrano sperimentare i disagi più consistenti e correre i rischi più elevati. Nel commentare questo ‘punto di debolezza’, nell’apertura del convegno a cui si è fatto riferimento, Soresi ha affermato che è sicuramente difficile lavorare e dimostrare di essere stati utili in queste situazioni e che potrebbero essere considerati dai più minacciosi quei modelli e quei programmi che richiedono proprio… “di occuparsi dei biondi con gli occhi azzurri, dei dotati… piuttosto che rivolgersi precocemente ai bambini delle scuole primarie, o a persone che sembrerebbero destinate a svolgere lavori poco interessanti e sovente indecenti e mal retribuiti, alle persone con disabilità, alle persone con esperienze di migrazione, e a coloro che sono colpiti dalla crisi socioeconomica che stiamo vivendo in vario modo, come i precari e i disoccupati!”.
3. Un altro punto di debolezza si riferisce al fatto che l’innovazione che auspichiamo richiede lo sviluppo di procedure che permettano di arrivare ad un maggior numero di persone riducendo contemporaneamente i costi di tali interventi. Questo può significare lavorare di più con piccoli e grandi gruppi, rivolgendosi anche ai diversi contesti di vita, coinvolgere genitori, insegnanti, volontari, datori di lavoro, organizzazioni, che possono fornire supporti e sostegni allo sviluppo e all’inclusione professionale… e, tutto questo, potrebbe richiedere investimenti, cambiamenti e flessibilità anche consistenti a quanti intendono includere nella propria professione elementi di innovazione.
In effetti, da quando agli inizi degli anni ‘90 si è insediata presso l’Università di Padova la prima commissione di ateneo per la disabilità, Edoardo Arslan ha continuato a manifestare la sua insoddisfazione per ciò che veniva realizzato nel convincimento che si potesse e dovesse sempre fare di più e di meglio e, questo, perché era una persona che a livello professionale ed umano non si accontentava facilmente.
Tre anni fa era presente ad un convegno internazionale che era stato dedicato al futuro e alla necessità di instillare speranza: era rimasto colpito dal motto di S. Agostino che avevamo scelto per quell’evento: “la speranza ha due bellissimi figli… il primo si chiama indignazione per come vanno le cose e l’altro coraggio per provare a cambiarle”. Gli era piaciuto questo pensiero in quanto, a suo avviso, sarebbero molti coloro che riescono ad arrabbiarsi e ad indignarsi per come vengono trattati … ma decisamente pochi quelli che si indignano per come vengono trattati gli altri e sono ancora meno quelli che hanno il coraggio di fare qualcosa soprattutto quando se si tratta di andare controcorrente … di dire non ci sto… di rifiutare ‘l’abbiamo sempre fatto così’… o il …non si può fare… Un alleato disinteressato della speranza, dell’indignazione e del cambiamento secondo Edoardo Arslan si chiama verifica e valutazione… quante ne facciamo all’interno dei nostri servizi? Quanti cambiamenti e miglioramenti in favore dell’inclusione, le relazioni e documentazioni di ciò che i servizi realizzano testimoniano effettivamente la presenza di passi significativi verso un’inclusione di qualità? Invece di limitarci a presentare elenchi di iniziative e di accessi, e dati ed indici di gradimento… dovremmo produrre più stime di miglioramento della qualità della vita delle persone e dei contesti… verifichiamo di più e così saremo costretti a cambiare, a migliorare, suggeriva spesso.
Un secondo motivo che ci fa salutare con soddisfazione la pubblicazione di questo volume è collegato alle energie che assieme a Laura Nota e agli altri membri del La.R.I.O.S (Laboratorio di Ricerca ed Intervento per l’Orientamento alle Scelte) abbiamo, dal 2013, entusiasticamente investito nel promuovere il Netwok Universitario per il Counselling (Network Uni.Co). L’idea di dar vita un network universitario italiano che in modo simile a quanto stava avvenendo in altri contesti internazionali per approfondire la delicata questione della formazione e certificazione delle competenze in materia di counselling è stata motivata essenzialmente da tre ordini di ragioni:
1) La recente crisi economica che ha investito pure il nostro paese ha interessato, tra l’altro, anche le professioni di tipo psicologico che sembrano essere destinate ad avere poco futuro se continueranno, soprattutto, come è avvenuto in passato, ad ispirarsi unicamente ai nostri tradizionali raggruppamenti disciplinari di tipo accademico (psicologia generale, dello sviluppo, clinica, del lavoro, ecc.). Di fatto i cambiamenti che si stanno registrando nel mondo del lavoro e che si succedono con notevoli accelerazioni penalizzano in particolare quelle professioni che continuano ad orientarsi al passato e che non sono riuscite a preparasi ad affrontare con prontezza, nell’accezione di Lent (2013), le sfide e le minacce all’inclusione professionale derivanti dalla globalizzazione, prima, e dalla crisi economico-finanziaria, poi (Ferrari & Soresi, 2012; Fouad & Jackson, 2013) Tutto questo, in Italia, non poteva non riguardare le professioni psicologiche dal momento che da noi, da una trentina di anni a questa parte, si sono moltiplicate a dismisura le offerte formative, che, per altro, hanno continuato ad esercitare, sulle giovani generazioni e a livello di scelta formativa universitaria, consistenti attrazioni. Il lavoro recente di Bosio e Lozza (2014) a proposito dell’attuale occupabilità degli psicologi che vengono laureati dai nostri atenei, da questo punto di vista, non può che essere considerato un ulteriore campanello di allarme che dovrebbe essere indirizzato innanzitutto a coloro che governano e traggono vantaggi dall’esistenza di accessi, di fatto non regolamentati, alle Scuole e ai Corsi universitari di psicologia e, quindi, ad un ordine professionale che continua a far registrare in Italia il più elevato livello di crescita in confronto alle altre professioni ordinistiche. Come ricordano ancora Bosio e Lozza, gli psicologi in Italia sono decisamente tanti: il rapporto psicologi/popolazione in Italia oggi è di 1/680 mentre era di 1/1.500 agli inizi degli anni 2000; un quarto degli psicologi attivi in Europa, inoltre, è italiano e la densità psicologo/popolazione è di gran lunga più elevata in Italia che negli altri paesi UE.
Si tratta di dati preoccupanti anche in considerazione del fatto che il lavoro psicologico del futuro non avrà molto mercato e, stando ad indagini nordamericane, quello che ci sarà riguarderà soprattutto il counselling, ma un tipo di counselling decisamente diverso da quello che siamo stati sinora abituati a considerare. In futuro avranno maggiori probabilità di risultare attraenti, per quanto concerne l’ambito dell’applicazione della psicologia, quei professionisti che dimostreranno di essere in grado di proporre soprattutto interventi poco costosi, brevi ma efficaci, per piccoli e grandi gruppi, finalizzati all’incremento delle abilità di problem solving, dell’empowerment e dell’autodeterminazione delle persone; che saranno in grado di supportare interventi formativi e di aiuto a distanza, di utilizzare linguaggi e collaborazioni multidisciplinari, interventi improntati ad elevata flessibilità, adaptability e di allargare i propri ambiti di competenza (Nota & Soresi, 2015; Soresi & Nota, 2014)
2) La seconda ragione che ha stimolato la nascita del network è di natura più marcatamente accademica. Sul versante della ricerca i contributi che le università italiane stanno offrendo al ridimensionamento dei problemi di cui sopra sono decisamente scarsi. Sono necessari maggiori investimenti e sarebbe opportuno potenziare le scuole di dottorato in questa direzione. L’Europa, in questa direzione, ha finanziato un progetto a cui partecipano una ventina di università, Padova ne è il capofila, per sperimentare un progetto di formazione, un dottorato in counselling avente almeno un respiro europeo e non essere, come spesso accade, la riproposizione delle già esistenti tradizioni locali di ricerca. Sul versante della formazione l’università, inoltre, sembra tacere sul fatto che da noi in materia di counselling esiste una vera e propria ‘giungla’ di iniziative e di posizioni che non sempre appaiono autenticamente orientate a supportare la serietà e la delicatezza del counselling. Solo alcuni dati: una stima approssimativa fatta attraverso una ricognizione delle presentazioni on-line documenta l’esistenza di oltre 300 ‘soggetti’ titolari di percorsi di formazione in counseling, un numero imprecisato di counsellor accreditati da questa o quella associazione, 80 corsi triennali di specializzazione in counselling, una cifra indeterminata di corsi, master, percorsi, ecc. che rilasciano un titolo di counsellor, percorsi formativi strutturati della durata variabile (da 7 giorni a 3 anni), tasse di iscrizione che vanno da poche decine di euro ai 4/5000, un numero imprecisato di tipologie di counselling (counselling nutrizionale, aziendale, orientativo, sanitario, giuridico, filosofico, psicopedagogico, didattico, psicologico, infermieristico, genetico, spirituale, ecc.). In presenza di questa ‘giungla’ si è ritenuto opportuno favorire, con la proposta della nascita di un network universitario, un confronto fra gli studiosi del counselling interessati a stimolare l’attenzione degli Atenei Italiani sulle questioni della formazione e della certificazione delle competenze professionali in materia ritenendo che, di fronte alla ‘giungla’ di cui sopra, l’Università dovesse far sentire la propria voce avanzando proposte e linee guida condivise.
3) La terza ragione che ha portato alla nascita di Uni.Co è stata l’emanazione della legge 4/13 che ha affidato alle associazioni professionali di natura privatistica anche, tra gli altri, i compiti di:
a) valorizzare le competenze dei propri iscritti;
b) promuovere la loro formazione continua;
c) vigilare sulla condotta professionale degli associati;
d) individuare i titoli di studio necessari;
e) indicare l’eventuale obbligo di aggiornamento;
f) accertare l’effettivo assolvimento di tale obbligo (art. 5);
g) rilasciare attestazioni relative agli standard qualitativi e di qualificazione professionale, che tuttavia non rappresentano requisito necessario per l’esercizio dell’attività professionale (art. 7).
Si tratta di una legge che riguarda da vicino anche coloro che sono interessati al counselling in quanto, come recita il suo primo articolo, trattasi di “una professione non organizzata in ordini o collegi […] volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi” (art. 1, comma 2).
Il dettame di legge precisa ancora che “I professionisti possono costituire associazioni professionali (con natura privatistica, fondate su base volontaria e senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva) con il fine di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza” (art. 2, comma 1). “Le associazioni professionali, continua la legge, promuovono, anche attraverso specifiche iniziative, la formazione permanente dei propri iscritti…” (art. 2, comma 3).
In occasione della prima giornata di studio, tenutasi a Roma presso il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) il 10 giugno 2013, Soresi, nell’avviarne i lavori, aveva ricordato che la necessità di dar vita al Network si reggeva sul convincimento che come persone interessate alla ricerca e alla formazione anche gli universitari avrebbero dovuto fare la loro parte dichiarando, sia all’interno che all’esterno degli atenei, cosa pensassero e cosa ritenessero opportuno proporre a proposito di una serie di nodi che attendono ancora chiare ed operative risposte. Più in particolare si riferiva alla necessità di indicare:
1. Gli ambiti di intervento del counselling da prendere in considerazione come, ad esempio, quelli in favore del disagio psicosociale, dell’orientamento, del lavoro, delle organizzazioni, della riabilitazione e del supporto psicopedagogico, della consulenza alle coppie e alle famiglie, della salute e del benessere di persone e gruppi, dello sport, della mediazione culturale, ecc. (Cottone, 2014; Kaplan, Tarvydas, & Gladding, 2014; Nota, Soresi, Ferrari, & Ginevra, 2014)
2. La tassonomia che sarebbe stato opportuno fare riferimento, riflettendo se fosse stato più vantaggioso limitarsi a considerare, ad esempio, solo forme di conselling prettamente psicologico, o ritenere più promettente, più in sintonia con i segnali di cambiamento che in diversi parti del mondo si stanno registrando, aprirsi anche a forme di counselling maggiormente multidisciplinari, sociali, educative, filosofiche, economiche, ecc.;
3. La formazione da proporre a coloro che sono interessati allo svolgimento di professioni ascrivibili agli ambiti di cui sopra, ritenendo che qualsiasi attività di counselling, in ogni caso, dovesse necessariamente richiedere una formazione di base elevata (almeno un quinquennio) e percorsi specifici di approfondimento post-lauream (Master e Corsi di Perfezionamento);
4. L’eventuale forma di accreditamento e di certificazione delle competenze, in considerazione del fatto che ci si sta di fatto muovendo verso l’eliminazione del valore legale dei titoli di studio in favore di forme specifiche di accreditamento e di certificazione delle competenze, considerando la possibilità di affiancare ai titoli che rilasciano le università un qualche ‘bilancio delle competenze acquisite’.
A quella prima giornata di studio ne sono seguite molte altre; tra le ultime figura anche il Convegno “Il counselling e l’orientamento in Italia e in Europa” all’interno del quale sono stati presentati molti dei contributi che sono stati raccolti in questo volume e che ha rappresentato un’occasione preziosa sia per diffondere il “Manifesto del Netvork sul counselling”, che è liberamente scaricabile dal sito del La.R.I.O.S (larios.psy.unipd.it) sia per accrescere il consenso a proposito della necessità di ripensare i modelli tradizionali di intervento nell’ambito dell’orientamento e dei servizi di aiuto alla persona tramite l’ammodernamento dei modelli teorici, dei metodi e degli strumenti utilizzati. Soresi, in quell’occasione, nell’introdurre i lavori congressuali ha ricordato una SWOT analysis che era stata condotta assieme a Mary e Puncky Heppner considerando le risposte che un gruppo di circa 200 studiosi provenienti da una sessantina di paesi avevano fornito ad alcune domande-stimolo a proposito di: a) quali erano, a loro avviso, le nuove sfide che ci si trovava a dover affrontare; b) come sarebbe stato possibile aiutare le persone più vulnerabili; e c) come fornire al counselling e all’orientamento una maggiore rilevanza sociale. Sui testi così raccolti e seguendo le indicazioni metodologiche di Savickas (2003), sono stati sintetizzati i punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce che riguarderebbero l’orientamento e il counselling. In questa sede ricordiamo solamente i punti di forza e di debolezza che, tra l’altro, saranno ripresi in diversi contributi di questo scritto.
I punti di forza più frequentemente citati sono stati 4:
1. La consapevolezza che l’orientamento e il career counseling hanno la possibilità di aiutare le persone a descrivere i propri obiettivi, aiutare a pianificare i progetti professionali e sostenere i loro desideri anche in epoca di crisi.
2. La constatazione che l’orientamento e il career counseling sono in grado di fornire alle persone strumenti socio-culturali utili alla gestione della complessità, alla promozione dell’employability e dell’intraprendenza.
3. La possibilità di lavorare in modo personalizzato, dando vita ad azioni di counselling e di intervento che valorizzino l’unicità delle persone evitando approcci standardizzati, e puntando ad interazioni professionali di elevata qualità.
4. L’aver messo a disposizione dei professionisti modelli nuovi in grado di canalizzare la loro attenzione su dimensioni che appaiono maggiormente significative per la costruzione professionale come l’adaptability, la resilienza, la persistenza, l’autodeterminazione, l’autoregolazione, e a mettere in luce i punti di forza delle persone, instillando speranza, tenendo alte le aspirazioni e favorendo lo sviluppo di forme ricche di identità professionale.
Altri punti di forza che sono stati segnalati riguardano l’importanza di intraprendere azioni a vantaggio della solidarietà sociale, dell’insegnare alle persone a riconosce i segni dello sfruttamento su di sé e sugli altri, e dell’agire per promuovere lo sviluppo del capitale sociale, un benessere equo e sostenibile.
Come noto i diversi modelli di SWOT analysis consentono di evidenziare anche i cosiddetti punti di debolezza che si potrebbero intravedere e che renderebbero difficile il lancio di un prodotto, il successo di una iniziativa a causa degli investimenti e dei costi aggiuntivi che sarebbe necessario sostenere e che potrebbero far ritenere poco vantaggioso il perseguimento dell’innovazione in questione. I punti di debolezza individuati e che di fatto ostacolerebbero il successo delle nuove visioni dell’orientamento e del counselling hanno riguardato soprattutto:
1. La necessità di assumere un’ottica multidisciplinare per riuscire a comprendere meglio la complessità attuale e sviluppare interventi innovativi. È, questa, forse la barriera più difficile da abbattere: a quali discipline spetta il compito di indicare modelli e prassi in materia di orientamento e di counselling? In quante occasioni si assiste a progetti di ricerca e ad azioni veramente multidisciplinari? Quanta psicologia dell’orientamento hanno imparato gli economisti che si interessano di risorse umane, di career counselling, di mercato del lavoro e viceversa? Quanta economia e psicologia sarebbero disposti a studiare? E quanta sociologia, antropologia, diritto e filosofia?
2. Un altro punto di debolezza segnalato è associato al fatto che il rinnovamento nelle pratiche di counselling e la loro capacità di fittare effettivamente con le realtà che incontriamo sono affidate anche al ricorso a sistematiche operazioni di valutazione dell’efficacia in termini di misura di cambiamenti prodotti. Da questo punto di vista si segnala che maggiori sforzi dovrebbero essere dedicati anche alle situazioni più difficili, per poter cambiare ‘i destini’ di coloro che sembrano sperimentare i disagi più consistenti e correre i rischi più elevati. Nel commentare questo ‘punto di debolezza’, nell’apertura del convegno a cui si è fatto riferimento, Soresi ha affermato che è sicuramente difficile lavorare e dimostrare di essere stati utili in queste situazioni e che potrebbero essere considerati dai più minacciosi quei modelli e quei programmi che richiedono proprio… “di occuparsi dei biondi con gli occhi azzurri, dei dotati… piuttosto che rivolgersi precocemente ai bambini delle scuole primarie, o a persone che sembrerebbero destinate a svolgere lavori poco interessanti e sovente indecenti e mal retribuiti, alle persone con disabilità, alle persone con esperienze di migrazione, e a coloro che sono colpiti dalla crisi socioeconomica che stiamo vivendo in vario modo, come i precari e i disoccupati!”.
3. Un altro punto di debolezza si riferisce al fatto che l’innovazione che auspichiamo richiede lo sviluppo di procedure che permettano di arrivare ad un maggior numero di persone riducendo contemporaneamente i costi di tali interventi. Questo può significare lavorare di più con piccoli e grandi gruppi, rivolgendosi anche ai diversi contesti di vita, coinvolgere genitori, insegnanti, volontari, datori di lavoro, organizzazioni, che possono fornire supporti e sostegni allo sviluppo e all’inclusione professionale… e, tutto questo, potrebbe richiedere investimenti, cambiamenti e flessibilità anche consistenti a quanti intendono includere nella propria professione elementi di innovazione.
Nel concludere questa presentazione desideriamo infine ringraziare tutte le colleghe e i colleghi che con la loro partecipazione hanno dato vita al Network Uni.Co e, con i loro contributi, alla stesura di questo volume. Si tratta di un ringraziamento che consideriamo anche doveroso dal momento che i cambiamenti, come quelli che auspichiamo in materia di couselling e di orientamento, necessitano di vaste alleanze, di visioni multidisciplinari e di ampie condivisioni. Un primo passo in questa direzione può essere rappresentato dal reciproco riconoscimento ed apprezzamento in favore di visioni diverse dalle proprie alle quali, a nostro avviso, va riconosciuto il diritto di proporre le proprio specificità, soprattutto in presenza di approcci al benessere che propongono un elevato spessore scientifico e l’ancoraggio ad un puntuale codice deontologico a tutela dei consumatori e della comunità dei counsollors. In altre parole, invece di innalzare barriere, di vegliare in modo più o meno armato sui nostri confini… dovemmo forse scegliere la via della condivisione e della collaborazione anche per ridurre la tentazione ‘al papagallamento psicologico’ da parte di colleghi provenienti da altri settori scientifico-disciplinari che, in ogni caso, stanno producendo molto dal punto di vista della ricerca e dell’intervento in materia di counselling (Dollarhide, 2014; Nota & Soresi, 2015; Savickas et al., 2009). Dovremmo sia come studiosi, ricercatori, professionisti, come network Uni.Co, come La.R.I.O.S. e come SIO (Società Italiana di Orientamento), ecc., operare di più e in modo maggiormente condiviso per:
– Avviare azioni di promozione e di informazione non ingannevole in materia di counselling e di orientamento;
– Diffondere una definizione condivisa di counselling e dei suoi ambiti di applicazione;
– Stimolare e monitorare esperienze di certificazione delle competenze e di valutazione dell’efficacia dei diversi percorsi formativi;
– Stimolare e sostenere la ricerca e la sperimentazione in materia di orientamento e di counselling;
– Avviare contatti e collaborazioni con università, agenzie, organizzazioni nazionali ed internazionali.
– Avviare azioni di promozione e di informazione non ingannevole in materia di counselling e di orientamento;
– Diffondere una definizione condivisa di counselling e dei suoi ambiti di applicazione;
– Stimolare e monitorare esperienze di certificazione delle competenze e di valutazione dell’efficacia dei diversi percorsi formativi;
– Stimolare e sostenere la ricerca e la sperimentazione in materia di orientamento e di counselling;
– Avviare contatti e collaborazioni con università, agenzie, organizzazioni nazionali ed internazionali.
Forse anche chi si occupa di counselling e di orientamento, come fanno ad esempio da secoli i medici con il giuramento di Ippocrate e come ha proposto recentemente Bruni agli economisti, dovremmo anche noi chiedere di fare un solenne giuramento affermando pubblicamene, ad esempio, qualcosa di simile a quanto riportato nel riquadro sottostante.
1. Mi impegno ad utilizzare le mie conoscenze e competenze in favore del benessere e della qualità della vita di tutte le persone;
2. Mi impegno ad allertare le persone a proposito dei pericoli associati all’offerta di lavori illegali, poco decenti, insoddisfacenti, ed insicuri.
3. Mi impegno a sostenere anche pubblicamente ed apertamente l’equità, la giustizia sociale e l’idea di Benessere equo e sostenibile
4. Mi impegno a promuovere la multidisciplinarietà e la condivisione dei saperi, promuovendo collaborazioni ed abbattendo i confini tra professionisti e ricercatori e tra i diversi servizi interessati al benessere delle persone.
5. Mi impegno a scegliere e ad implementare programmi a basso costo, basati sulla teoria e sostenuti dall’evidenza empirica.
6. Mi impegno a realizzare pratiche professionali e a condurre ricerche socialmente rilevanti e rispettose delle eterogeneità culturali presenti nei contesti in cui mi trovo e mi troverò ad operare.
7. Mi impegno, in caso di conflitto di interesse tra le desiderate dei committenti e i vantaggi per gli utenti, a stare in ogni caso dalla parte del benessere di questi ultimi.
8. Mi impegno a trasferire anche ad altri le mie conoscenze e competenze per stimolare, anche a proposito di counselling ed orientamento, la crescita della comunità in cui mi trovo a vivere ed operare.
9. Mi impegno a fare il possibile per promuovere questi valori anche presso coloro che hanno responsabilità decisionali a proposito della scelta delle politiche di promozione e tutela del benessere e della soddisfazione della popolazione.
10. Mi impegno soprattutto a…
2. Mi impegno ad allertare le persone a proposito dei pericoli associati all’offerta di lavori illegali, poco decenti, insoddisfacenti, ed insicuri.
3. Mi impegno a sostenere anche pubblicamente ed apertamente l’equità, la giustizia sociale e l’idea di Benessere equo e sostenibile
4. Mi impegno a promuovere la multidisciplinarietà e la condivisione dei saperi, promuovendo collaborazioni ed abbattendo i confini tra professionisti e ricercatori e tra i diversi servizi interessati al benessere delle persone.
5. Mi impegno a scegliere e ad implementare programmi a basso costo, basati sulla teoria e sostenuti dall’evidenza empirica.
6. Mi impegno a realizzare pratiche professionali e a condurre ricerche socialmente rilevanti e rispettose delle eterogeneità culturali presenti nei contesti in cui mi trovo e mi troverò ad operare.
7. Mi impegno, in caso di conflitto di interesse tra le desiderate dei committenti e i vantaggi per gli utenti, a stare in ogni caso dalla parte del benessere di questi ultimi.
8. Mi impegno a trasferire anche ad altri le mie conoscenze e competenze per stimolare, anche a proposito di counselling ed orientamento, la crescita della comunità in cui mi trovo a vivere ed operare.
9. Mi impegno a fare il possibile per promuovere questi valori anche presso coloro che hanno responsabilità decisionali a proposito della scelta delle politiche di promozione e tutela del benessere e della soddisfazione della popolazione.
10. Mi impegno soprattutto a…
Se nel condurre le operazioni di valutazione e verifica dell’efficacia dei nostri interventi professionali e dei nostri servizi ci permettessimo anche di valutarci e farci valutare a proposito di quanto saremo stati in grado di tener fede a questi impegni e a questa sorta di giuramento… allora, a nostro avviso, il counselling e l’orientamento potranno avere sicuramente un futuro e, accanto ad uno spessore scientifico, anche un’innegabilmente valenza sociale.
Riferimenti bibliografici
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Cottone, R.R. (2014). On replacing the ethical principle of autonomy with an ethical principle of accordance. Counseling and Values, 59, 238-248.
Dollarhide, C.T. (2014). Using a values-based taxonomy in counselor education. Counseling and Values, 58, 221-236.
Ferrari, L. & Soresi, S. (2012). Crisi economica e orientamento: il punto di vista degli operatori. Giornale Italiano di Psicologia dell’Orientamento, 13, 37-47.
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Kaplan, D.M., Tarvydas, V.M., & Gladding, S.T. (2014). 20/20: A vision for the future of counseling: The new consensus definition of counseling. Journal of Counseling & Development, 92, 366-372.
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Savickas, M.L. (2003). Career counseling in the next decade. The Career Development Quarterly, 52, 4-7.
Savickas, M., Nota, L., Rossier, J., Dauwalder, J.P., Duarte, M.E., Guichard, J., Soresi, S., Van Esbroeck, R., van Vianen, A.E.M. (2009). Life designing: A paradigm for career construction in the 21st century. Journal of Vocational Behavior, 75(3), 239-250.
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