Chiara Annovazzi, Maria Cristina Ginevra, Elisabetta Camussi, Università di Milano-Bicocca
Nel contesto europeo ed italiano dell’ultimo decennio, il mondo del lavoro ha subito diversi cambiamenti, caratterizzandosi per una marcata incertezza, visibile anche attraverso l’incremento di posizioni considerate maggiormente instabili e di ‘lavori flessibili’, che spesso si traducono in forme di occupazione temporanee e precarie. La profonda crisi economica e sociale di questo periodo ha modificato drasticamente le condizioni socio-economiche del contesto italiano, influenzando negativamente ed ostacolando la progettazione professionale. A queste condizioni si aggiungono varie forme di discriminazioni di genere, incrementate anche dalla diffusione di stereotipi professionali. Nonostante la presenza di leggi sia nazionali che internazionali, istituite con lo scopo di garantire pari opportunità per tutti, le donne risultano essere quasi del tutto assenti dalla sfera pubblica e notevolmente sottorappresentate nei contesti di lavoro tradizionalmente maschili – STEM scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (Commissione europea, 2015) – e nei livelli più alti delle gerarchie organizzative (U.S. Bureau of Labor Statistics, 2011). Infatti, nonostante nel discorso pubblico sia diffusa la retorica della ‘libera scelta’ – secondo la quale variabili come il genere non influirebbero più sulle traiettorie di vita, lasciando i singoli come gli unici responsabili del proprio percorso – il contesto attuale continua ad essere fortemente influenzato da una mancanza di equità di genere. Dalla letteratura emerge, infatti, come le donne sperimentino maggiori tassi di disoccupazione, forme di discriminazione più sottili, come il Gender Pay Gap (Camussi & Annovazzi, 2016), e minori forme di protezione sociale come benefici di maternità, sussidi di disoccupazione e pensioni. Una delle spiegazioni che può essere riportata circa il perdurare delle discriminazioni è la presenza di barriere interne ed esterne, di natura culturale e stereotipica (Rustichelli, 2010). Tra queste è possibile annoverare i conflitti multi-ruolo e la presenza di stereotipi professionali che supportano lo sviluppo di credenze sui percorsi formativi e professionali, secondo cui le donne sarebbero ‘vocate’ e quindi destinate per natura – a titolo quasi esclusivo – al lavoro domestico e di cura, e non all’impiego retribuito, che apparterrebbe stereotipicamente agli uomini (Camussi, Annovazzi, & Montali, 2016). Questi stereotipi accentuano l’associazione tra determinate categorie professionali e il genere femminile o maschile, influenzando la persona a scegliere percorsi professionali ritenuti appropriati al genere: in modo specifico, le donne vengono descritte come calorose e premurose – tratti associati ai lavori educativi e di cura – mentre gli uomini competenti e determinati, quindi ideali per le posizioni di leadership (Uniteci Nations, 2015).
Data l’importanza che questi temi hanno nel favorire una crescita inclusiva e un lavoro sostenibile per tutti, l’equità occupazionale di genere è al centro del dibattito internazionale sia nell’agenda 2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, sia in quella dell’International Labour Organisation, che già da un decennio definisce l’uguaglianza di genere elemento fondamentale del ‘lavoro decente’.
A partire da queste premesse, il nostro gruppo di ricerca ha avviato una serie di lavori atti ad indagare la tematica delle differenze e disuguaglianze di genere nei contesti formativi e professionali. Coinvolgendo un campione di donne lavoratici, abbiamo ad esempio indagato l’effetto della percezione delle barriere professionali sui livelli di soddisfazione personale e professionale e sulla progettazione professionale, riscontrando che le donne sperimentano maggiori barriere professionali associate alla discriminazione di genere, al conflitto multi-ruolo e alle difficoltà nel mercato del lavoro attuale. Inoltre, la percezione di barriere professionali sembra incidere negativamente sui livelli di soddisfazione personale e professionale che le donne sperimentano e sulla loro percezione del mercato del lavoro attuale (Annovazzi, Ginevra, Elli, Meneghetti, & Camussi, under review). Sulla base di tali risultati stiamo avviando una serie di interventi finalizzati a ridurre l’impatto delle barriere professionali sulla progettazione professionale delle donne. In particolare, è in corso di progettazione e implementazione un intervento innovativo, interdisciplinare ed economicamente praticabile di Public Engagement finalizzato a promuovere consapevolezza sulle barriere professionali e sui cambiamenti nel contesto lavorativo, costruendo soluzioni praticabili attraverso il coinvolgimento di una comunità di esperti e cittadini (genitori, career counsellor, lavoratori e lavoratrici). In questo modo le persone coinvolte potrebbero a loro volta sostenere e promuovere condizioni di equità di genere e di lavoro decente nei loro contesti quotidiani. L’obiettivo complessivo è infatti quello di promuovere una parità inclusiva, sostenendo la diversità – e non la disuguaglianza – ovvero supportare l’individualità di ogni persona, poiché sviluppi le proprie competenze, a partire dalla propria storia di genere e di vita (Camussi & Annovazzi, 2016). L’intervento prevede tre fasi: Awareness-Activation-Participation (Camussi, Annovazzi, Montali, & Ginevra, 2016). La prima fase riguarda azioni di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza e la riflessione delle persone in merito al genere ed al lavoro decente, utilizzando attività quali ‘Gender Cafè’, osservazioni etnografiche ed interviste narrative. In una seconda fase si propone di favorire Laboratori generativi per far emergere proposte di servizi e strumenti destinati a fronteggiare le disuguaglianze di genere. Infine, una terza fase di ‘partecipazione’, prevede l’attuazione di ‘maratone tematiche’ o ‘Hackathon’ nelle quali gruppi multidisciplinari potranno elaborare soluzioni concrete, anche di tipo tecnologico, per contrastare la disparità di genere (Annovazzi, Ginevra, & Camussi, 2018).