A cura di Marta Marica Spissu
Tra sfide globali e futuri sostenibili
La crescente attenzione alla sostenibilità evidenzia come molte delle sfide contemporanee siano radicate nel modello economico dominante, che spesso privilegia i profitti rispetto al benessere sociale, ambientale e umano. La serie del Lancet sui determinanti commerciali della salute (2023b) ha messo ben in luce il legame tra pratiche aziendali e malattie globali. Pur avendo creato opportunità economiche, le pratiche globali (WHO, 2019) di molte imprese transnazionali, hanno contribuito ad accentuare le disuguaglianze, colpendo in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili (Flynn, 2021; Lennock & Ehrenpreis, 2003). Questo squilibrio, sempre più polarizzato, richiede una revisione profonda del rapporto tra economia, società e ambiente. Un rapporto che può essere ripensato attraverso la visione One Health, un approccio olistico che riconosce l’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale (Léchenne et al., 2024; Lancet, 2023a). Questo paradigma, basato sull’integrazione di discipline diverse, sta trovando sempre più spazio nelle raccomandazioni dell’OMS (WHO, 2022). Se vogliamo costruire un ecosistema sostenibile, resiliente e durevole, la salute del pianeta e di tutti i suoi abitanti deve essere considerata prioritaria e di pari dignità. Tutti siamo componenti di un unico sistema, e la salute di ogni elemento umano, animale o ambientale è strettamente correlata alla salute degli altri (Capua, 2020).
Il paradosso delle imprese transnazionali e i futuri insostenibili
Le imprese transnazionali sono attori chiave nell’economia globale, ma il loro operato solleva preoccupazioni significative. Sebbene abbiano creato opportunità economiche, hanno anche contribuito a erodere la coesione sociale e minare la democrazia, proteggendo i propri interessi attraverso pressioni politiche e manipolazioni del mercato (Wood et al., 2022). Agendo spesso a danno della salute pubblica, dei diritti umani (Martinez, 2023), dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente (Stevis et al., 2018). Tali pratiche, perpetuando un sistema che “socializza i costi e privatizza i profitti” (Chatterjee et al., 2024), ostacolano dunque transizioni socio-ecologiche autentiche. In questo contesto, l’orientamento al profitto e alla competizione, contribuiscono ad alimentare un approccio dominante che danneggia la solidarietà e l’inclusività (Hooley et al., 2018). Nutrendo inoltre l’illusione che il benessere dipenda dal consumo, riproducono un’economia che maschera le vulnerabilità dietro scelte apparentemente libere. La mancanza di opportunità di lavoro dignitoso è inoltre spesso nascosta da dati che mostrano un calo della disoccupazione globale, ma che non riflettono la qualità dell’occupazione (ILO, 2024; MdL, 2024). La continua ricerca della crescita infinita, che ha depauperato le risorse naturali, introdotto nuove forme di schiavitù e minato la dignità umana, solleva interrogativi morali fondamentali. Come si chiede Greblo (2021): “Esiste un linguaggio capace di indicare una soglia oltre la quale la mortificazione della dignità umana fa scattare un moto spontaneo di indignazione morale capace di respingere qualsiasi calcolo politico, interesse nazionale o valutazione geostrategica?
Verso un paradigma alternativo: economie e lavori sostenibili
Per affrontare queste sfide, è necessario un cambiamento di paradigma che metta al centro il benessere umano e planetario. Questa situazione evidenzia l’urgenza di promuovere economie e lavori sostenibili che considerino le complessità del mondo contemporaneo, incluso l’impatto della tecnologia e delle incertezze economiche e politiche (Hirschi, 2018; Blustein et al., 2019).
Verso un paradigma alternativo: economie sostenibili.
Alcuni modelli emergenti offrono visioni innovative che superano l’enfasi sulla crescita del PIL, promuovendo invece sostenibilità sociale ed ecologica. Il modello della “ciambella” di Raworth (2018) e l’economia del benessere o wellbeing economy (Fioramonti et al., 2022) rappresentano ad esempio un cambio di paradigma. Sottolineano la necessità di ridurre le attività economiche dannose e di espandere i settori socialmente più rilevanti, come ad esempio istruzione e sanità. Il focus non è però tanto sulla riduzione in sé, quanto sulla trasformazione del sistema e dei relativi metodi di produzione, emancipando i consumatori dalla dipendenza dalla produzione di massa e promuovendo catene del valore più corte e un empowerment locale (Fioramonti et al., 2022). Questi modelli pongono dunque al centro il benessere umano e planetario, superando la tradizionale enfasi sulla crescita del PIL. L’economia del benessere, ad esempio, promuove una trasformazione radicale dei sistemi economici, mirando a un benessere sostenibile, riducendo le disuguaglianze e promuovendo la sostenibilità ambientale e sociale. In senso più ampio, questi approcci si concentrano su:
Riduzione delle attività dannose: eliminare pratiche economiche che danneggiano il pianeta e le persone.
Espansione dei settori chiave: potenziare istruzione, sanità e altre aree di interesse pubblico.
Empowerment locale: favorire la partecipazione attiva e ridurre la dipendenza dalla produzione di massa (Vercalsteren et al., 2019).
Verso un paradigma alternativo: lavori sostenibili.
Il concetto di “sostenibilità al quadrato” (Bonzon & Rochat, 2022) propone di integrare la sostenibilità umana ed ecologica nei percorsi professionali, creando carriere che siano generative per l’individuo e per l’ambiente. Tuttavia, il panorama attuale è frammentato: gli studi sui modelli di carriera sostenibile operano spesso in compartimenti stagni (Donald & Jackson, 2023). Due modelli emergono come guida per strategie orientate verso lavori sostenibili: il modello delle carriere sostenibili (Van der Heijden & De Vos, 2015) e il life design (Savickas et al., 2009; Savickas, 2015). Entrambi privilegiano prosperità e generatività, non solo per l’individuo, ma anche per gli ecosistemi, integrando la sostenibilità ecologica e sociale nei percorsi professionali (De Vos et al., 2020; Van der Heijden et al., 2020). Questi approcci mirano a creare un nuovo orizzonte lavorativo che affronti le sfide globali, come il riscaldamento climatico e le disuguaglianze sociali, incoraggiando strategie a lungo termine per un futuro equo e sostenibile, integrando dimensioni sociali e ambientali (Donald & Jackson, 2023).
Entrambi i modelli riconoscono che la sostenibilità non è uno stato permanente, ma una caratteristica dinamica che richiede adattamenti continui. In questa direzione, esistono già proposte concrete, ad esempio, per un orientamento ispirato a modelli economici sostenibili (Nota et al. 2020), in particolare in riferimento al modello di Raworth (2018). O ancora, ripartendo dalla possibilità di immaginare nuovi futuri per l’economia, si dovrebbero fare proposte che ripongono la guida nelle mani delle comunità locali (Fioramonti, 2024), puntando al raggiungimento di un benessere sostenibile con dignità ed equità per gli esseri umani e il resto della natura. Il cambiamento verso futuri sostenibili richiede dunque una visione a lungo termine, che riconosca l’interconnessione tra la persona, l’ambiente e tutte le forme di vita. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario abbandonare le visioni semplicistiche e riflettere su un futuro in cui salute, giustizia eco-sociale e trasformazione sostenibile siano al centro delle politiche economiche globali.
Quale orientamento verso futuri (in)sostenibili?
Hasting (2012) ha sostenuto che la sanità pubblica debba esigere un posto al tavolo macroeconomico. Allo stesso modo, l’orientamento potrebbe contribuire a far sì che le implicazioni per la salute e il benessere dell’umanità e del pianeta vengano prese in seria considerazione, dedicando profonde riflessioni rispetto all’introduzione di nuove visioni tendenti all’utopia. Pre-occupandosi di futuri, ci si potrebbe domandare ad esempio come si può contrastare la tendenza a cadere nella trappola di una macchina che lavora per ‘possederli’, e forse l’orientamento potrebbe pre-occuparsi di scardinare i meccanismi che hanno portato gli esseri umani ad attuare comportamenti dannosi per sé stessi e per il proprio ecosistema, affinché non li replichino su larga scala, su tutto l’universo e oltre.
Ci si propone di lasciar correre l’immaginazione verso scenari che forse oggi ci appaiono utopici, mentre si spinge energicamente l’orientamento ad andare oltre i criteri funzionali e produttivistici e le soluzioni a breve termine dei futuri probabili, per spostarsi in modo consistente sul piano della prevenzione, della giustizia sociale, del benessere e della prosperità collettiva. Verso immaginari di futuri preferibili e possibili, cambiando i finali di vite che sembrano predeterminate (Savickas et al., 2009). Senza ‘permettere al meccanismo di mercato di essere l’unico elemento direttivo del destino degli esseri umani’ (Polanyi, 1944, in Gallino, 2009), trasformando quello che sembra impossibile in possibile (Hong, 2016).
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