Elisabetta Camussi
Dipartimento di Psicologia, Università di Milano Bicocca, Vicepresidente SIO e Presidente della Fondazione della Professione Psicologica Adriano Ossicini
Nel corso del 2023 in Italia le vittime di femminicidio sono state 110, ma l’anno non è ancora terminato e le cronache riportano quasi quotidianamente nuovi casi: talvolta diversi per età, caratteristiche, legami tra le persone coinvolte, ma accomunati dalla sistematicità della violenza maschile nei confronti delle donne. Si tratta di situazioni connotate da numerosi segnali predittivi, in alcuni casi anche da esposti e denunce, elementi ai quali non sempre si sono affiancate le risorse istituzionali, personali e sociali necessarie ad impedire un epilogo tragico, e, prima ancora, a riconoscere ed interrompere la condizione di violenza.
Al tempo stesso, il sentire comune sembra essersi di recente accorto della violenza di genere come problema sociale, della sua pervasività nonché dell’inaccettabilità degli effetti. E come spesso accade nel cambiamento sociale, al riconoscimento magari tardivo di un fenomeno si è subito accompagnata la richiesta di investimenti importanti sulla prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne, volti a dare una forma riconoscibile al problema nonché rassicurazioni sulla possibilità di risolverlo tramite interventi da attuarsi in primis nelle scuole.
La questione chiama in causa anche l’orientamento. Chi si occupa professionalmente di orientamento e Career Counselling – nella scuola o con gli adulti – sa infatti che ruolo fondamentale svolgano le credenze, le rappresentazioni, gli stereotipi e le narrazioni, e quanto lento e complesso sia favorirne il cambiamento. Contemporaneamente interventi di orientamento sostenibile, svolti da persone formate con attenzione alle disuguaglianze e alla giustizia sociale, sono in grado di aiutare i singoli e i gruppi a divenire consapevoli di stereotipi e pregiudizi interiorizzati tramite la socializzazione, individuando le limitazioni alla libera espressione di se’ che comportano e le corrette modalità per aggirare gli ostacoli correlati.
Da queste rappresentazioni stereotipate dei ruoli di genere, che ancora accomunano la maggioranza di uomini e donne nel contesto culturale italiano e rimandano ad un maschile connotato dalla determinazione e ad un femminile caratterizzato da pazienza e accettazione, derivano diverse conseguenze negative, quali ad esempio l’asimmetria tra i generi che vede l’Italia ultima in Europa per partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
E in che misura il lavoro delle donne e la realizzazione delle pari opportunità siano un fattore protettivo contro la violenza di genere lo dimostrano le Dichiarazioni internazionali quali la Convenzione di Istanbul, che inserisce la violenza economica tra le forme di violenza di genere ma anche tra i fattori di rischio da trasformare in fattori di protezione: in altri termini, sostenere nelle donne il diritto ad una formazione e ad un lavoro retribuito di qualità, unitamente alla richiesta di servizi che favoriscano la condivisione dei carichi di cura tra partner e con il contesto sociale, è garanzia di uguaglianza, libertà ed anche di protezione dalla violenza di genere.
Su tutto questo l’orientamento può fare molto sia in termini di ricerca che di intervento, a partire dai contesti istituzionali, sociali e professionali in cui ciascuno opera: per favorire un approccio sistemico e sistematico alla realizzazione delle pari opportunità, contribuendo così alla prevenzione della violenza di genere.