È ancora possibile un orientamento per il futuro? Ci saranno ancora i professionisti dell’orientamento? La SIO, la IAEVG, il La.R.I.O.S avranno ancora qualche ragione di esistere? Appunti della relazione di Salvatore Soresi al XXIII Congresso della SIO, 21 giugno 2024

Appunti della relazione di Salvatore Soresi al XXIII Congresso della SIO, 21 giugno 2024
Salvatore Soresi, La.R.I.O.S, SIO, IAEVG, ESVDC.

L’orientamento con il trascorre del tempo, e come tutte le cose terrestri, tende ad invecchiare, a deteriorarsi, e che la sua vita, come per le persone, per continuare ad aver un senso, dovrebbe cercare di cambiare e prepararsi a frequentare in modo diverso, nuovo, e originale il futuro. Quindi possiamo chiederci: Da sempre l’orientamento dice di occuparsi di futuro, ma è vero? Quali approcci teorici testimoniano che non è più quello di una volta e che il futuro avrà ancora bisogno di lui? E di questo suo voler essere diverso c’è chi se ne sta accorgendo?

In effetti da più di 200 anni a questa parte la ricerca internazionale ha proposto tante teorie, strumenti, materiali, pratiche di orientamento… ma quanti se ne sono accorti? Quanti ministeriali, dirigenti scolastici, operatori e operatrici di questo o quel servizio ricordano che Patton e McManon nel 2006 elencavano 17 possibili modelli teorici di riferimento e Yates nel 2020 – addirittura una quarantina? E i nostri servizi a quali, tra questi, stanno facendo riferendo? E quanto queste visioni dell’orientamento sono effettivamente diverse per quanto concerne l’idea di futuro che perseguono e la convinzione di essere in grado di far registrare alle persone e ai loro contesti sociali e naturali di vita, cambiamenti significativi?

Se l’orientamento continuerà ad essere essenzialmente valutativo e certificativo, e se servirà solo a questo, non potrà avere futuro se non altro perché non sarà in grado di produrre cambiamenti, miglioramenti… questo orientamento non servirà più dato che già esistono macchine sufficientemente intelligenti che riescono a farlo in modo più accurato ed economico di noi.

L’orientamento avrà invece un futuro, se riuscirà per primo a guardare lontano, là dove i suoi tradizionali committenti (scuole e imprese), non sono soliti guardare, se riuscirà per primo a diffondere l’abitudine ad essere lungimiranti, a non accontentarsi di obiettivi a brevissimo e termine se è vero che le nostre scelte determineranno anche la qualità della vita delle future generazioni e del nostro pianeta.
Solo così potremo dire che l’orientamento serve e servirà, perché non vuole limitarsi ad accompagnare le persone lungo l’arco della loro vita, il loro invecchiamento. Perché, invece, si agita per cambiarla, per migliorarla. Serve e servirà… se, effettivamente, lascerà i segni del suo passaggio, e in particolare l’idea che l’inizio del futuro, il cambiamento cioè, per i destinatari e le destinatarie dei suoi interventi sta per iniziare con esso.
Come professione interessata al futuro, potrà presentarsi con richieste simili a quelle che noi utilizziamo spesso per i nostri laboratori… ‘Se dovessi descrivere ad un extraterrestre cos’è per me il futuro, gli direi….
Se al riguardo si desidera ottenere reazioni più eterogenee ed originali è sufficiente premettere qualcosa come quanto contenuto, ad esempio, di seguito.

A proposito di futuro
(a cura di Salvatore Soresi e LaRIOS team, 2024)
Istruzioni
Contrariamente alla credenza popolare, il futuro non inizia adesso, ma quando la maggioranza delle cose che riguardano il presente saranno cambiate.
Questo significa che è poco probabile che inizi lo stesso giorno per tutti e tutte, e per coloro che vivono situazioni e contesti diversi.
Quindi, quando inizia il futuro? dipende anche da chi sei e dalle circostanze attuali della tua vita.
Sulla base di quanto sopra:
Dirò che per me il futuro inizierà quando saranno cambiate soprattutto queste cose: (indicane almeno 3):

  • Il mio futuro per ciò che ho scritto in a) inizierà all’incirca il _(inserire data)
  • Il mio futuro per b) inizierà all’incirca il _(inserire data)
  • Il mio futuro per c) inizierà all’incirca il _(inserire data)
  • Cosa potrebbe capitare per far sì che l’inizio del tuo futuro venga rinviato o che non si realizzi per nulla a proposito di ciò che hai indicato in a), in b) e in c?
  • E ancora, tra i diversi futuri che ti riguarderanno potrebbero essere da te considerati:
    A brevissimo, breve, medio, lungo o lunghissimo termine? E di quali è preferibile occuparci parlando di orientamento, del tuo, del nostro futuro ed anche, perché no, di quello di coloro che vivono in paesi lontani e molto diversi dai nostri?

Non vi sarà sfuggito che ho detto in forma anonima… questo per me è molto importante, anzi essenziale per fare orientamento.
L’anonimato va garantito soprattutto quando si chiedono cose personali quali, ad esempio, aspirazioni, preoccupazioni, timori, valori, volontà di dire e fare cose che magari vanno controcorrente; che significato e valore si attribuisce a questo o quel obiettivo 2030, cosa significa meritare qualcosa, agire nel proprio o l’altrui interesse, tendere ad un lavoro dignitoso, o a un buon lavoro, come si può ritenere giusto che chi dedica al lavoro la stessa quantità della propria vita riceva stipendi e pensioni diversi o possa beneficiare di servizi, assistenze variamente efficienti ed affidabili, e così via.

Ma torniamo al futuro dell’orientamento: ci sarà ancora se la smetterà di dare risposte, di raccomandare questa o quella scuola, di disseminare, in modo tra l’altro standardizzato, informazioni e pubblicità. Avrà un futuro se imparerà a porre e a suscitare interrogativi sensati, che non ammettono risposte semplicistiche e lineari, che indicano problemi difficili da risolvere, quelle che Ritter e Webber (1973) chiamavano wicked problem, problemi bastardi che non ammettono soluzioni semplici, lineari, individuali, definitive, e che non sanno che farsene dei mansionari e degli elenchi di competenze e discipline.
Popper diceva che le discipline non esistono, che esistono i problemi e che i ricercatori, le ricercatrici, e perché non gli orientatori e le orientatrici, debbono occuparsi di questi, smettendola di stare dietro uno sportello, dietro una scrivania o in cattedra, uscendo magari dai loro uffici, dai loro centri, dai loro laboratori. Sollevare domande, dubbi, chiedere ‘… e se…’, e rispondere ‘…forse…’, … può darsi… è possibile’, non si può sapere in anticipo!
Questi sono solo alcuni esempi di interrogativi che possono essere posti nel corso dei laboratori di orientamento:

  1. Come si può raggiungere lo sviluppo sostenibile per tutti e tutte, data l’enorme variabilità esistente nelle persone e nei loro contesti anche futuri di vita?
  2. È possibile ridurre le disuguaglianze, aumentare il benessere per tutti e tutte, senza conflitti ed imporre ad altri i nostri valori, la nostra cultura, i nostri decaloghi?
  3. Cosa ognuno di noi potrebbe o dovrebbe fare per contribuire a ridurre il divario tra ricchi e poveri?
  4. Dato che i tempi della vita sono ugualmente importanti per tutti, si può pagare un’ora della vita di una persona 1 euro, ad un’altra 3 euro, ad altri 200 euro, 1000 euro o 5.000 euro?
  5. Il lavoro che ognuno svolge o svolgerà è utile anche per gli altri? I prodotti che contribuiamo a realizzare sono sani? Inquinano? Rendono le persone più autonome o maggiormente dipendenti?
  6. Il lavoro o la formazione che vorremmo intraprendere sarà utile al mantenimento dello status quo, o all’avvio di significativi cambiamenti in favore di un futuro desiderabile?

L’orientamento avrà un futuro solo se si deciderà a guardare lontano ad incominciare, ad esempio, evitando di parlare dell’uomo giusto al punto giusto, del conosci te stesso e l’ambiente che ti circonda, del sii te stesso o del sii imprenditore di te stesso! Tutte frasi tutte piene di un procedere semplicistico e lineare, che si fa beffa delle riflessioni delle teorie della complessità e degli sudi del pensiero possibilista considerandoli, sbrigativamente, poco realistici, utopistici e rinforzando, però e di contro, gli status quo completamente vuoti di cambiamenti significativi a proposito della qualità della vita, della giustizia sociale e del futuro.
È quello che purtroppo sembrano fare tanti consulenti, tanta psicologia del lavoro e delle organizzazioni, tanti politici e tanti partiti che non riescono nemmeno ad accordarsi sui range temporali che attribuiscono agli obiettivi che dichiarano di voler perseguire. Tra cittadini, cittadine, politici, imprenditori/trici ed orientatori/trici, non c’è accordo nemmeno nell’affermare cosa va considerato a breve, medio e lungo termine… e questo, purtroppo, come riporta Dorr (2016), sembra valere anche per il mondo della ricerca, dove meno del 10% degli articoli che fanno riferimento ad essi precisano il periodo di tempo al quale si riferiscono parlando di cambiamenti (di obiettivi cioè) che si verificheranno a breve, medio o lungo termine. L’orientamento avrà un futuro se insegnerà ad occuparsi per tempo al medio termine (pensando ai prossimi 10 anni), e, ancor di più, al lungo termine (tra 10-20 anni) e a lunghissimo termine (30, 50, 70 anni) e, perché no, a come potrà essere la vita, il lavoro, la scuola, il tempo libero, il commercio tra 100, 200 anni; e ancor più in là …quando le previsioni probabilistiche sulle quali si basano oggi i consigli di orientamento, le prove di accesso, e l’incrocio tra domande ed offerte, avranno ben poco da anticipare e prevedere.

L’orientamento avrà un futuro se si baserà sui pilastri della Società 5.0 così come sono stati indicati, sin dal 2017 e per la prima volta, dal Primo Ministro Giapponese Shinzo Abe, durante il discorso di apertura della fiera di Hannover e, qualche anno dopo, dalla stessa Commissione Europea che ha parlato di Industria 5.0 in termini di una condotta economica resiliente, sostenibile, rigenerativa e circolare, ritenendo necessario, “un deciso allontanamento dai modelli del capitalismo neoliberista in quanto particolarmente attenti al profitto e al ‘primato degli azionisti” (2021, p.6).
Questa è una Società che prevede “pari opportunità per tutti e tutte e condizioni ambientali in grado di consentire la realizzazione del potenziale di ogni individuo”, l’impiego delle tecnologie emergenti per rimuovere le barriere fisiche, amministrative e sociali, che si preoccupa dell’autorealizzazione delle persone in modo che “ogni individuo, compresi gli anziani e le donne, possa vivere una vita sicura e protetta, confortevole e sana, e realizzare lo stile di vita desiderato” (Keidanren, 2016, p. 10).
E tutto ciò è quanto aveva d’altra parte invocato lo stesso Gorbaciov (2015), qualche anno prima, quando si era trovato ad affermare che non possiamo continuare a vivere ignorando i problemi ambientali. Che il pianeta è sovraccarico… che non abbiamo abbastanza acqua dolce per la gente… che miliardi di persone sono soggette alla fame. Quindi il nuovo modello deve considerare tutte queste esigenze. Questo modello deve essere più umano e più orientato alla natura… Siamo tutti interconnessi, ma continuiamo a comportarci come se fossimo completamente separati.

L’orientamento avrà un futuro se la smetterà di considerarlo al singolare, come un nome o un aggettivo, ma inizierà a trattarlo come verbo, come azioni da intraprendere, come movimenti finalizzati ad ottenere, o almeno cercare di ottenere, ciò che vorremmo che accadesse senza smettere mai di futurizzare. “The future is not a noun, it’s a verb. And we’re never going to stop futuring” (“Il futuro non è un nome, è un verbo. E non smetteremo mai di progettarlo!”)
Certamente non è un verbo che potrebbe essere declinato dietro sportelli e scrivanie, da operatori ed istituzioni ancora schiave dei passati, al servizio dei presenti, delle lusinghe dei mercati, delle chiacchere che si utilizziamo per presentare le nostre passate e presenti offerte formative e lavorative. Queste attività non dovranno essere più chiamate di orientamento, dovranno almeno cambiare nome in modo da essere più facilmente assimilabili alle operazioni burocratico-amministrative, e non certamente a quelle richiedenti altri tipi di relazioni, altri luoghi, tempi molto più lunghi come quelli necessari per far in modo che le persone prendano in mano e si curino per tempo delle preoccupazioni, canalizzando, in modo cooperativistico, le proprie indignazioni in favore di aspirazioni democratiche e partecipate, di aspettative ed intenzioni in grado di condurre, non accontentandosi di quelle probabili, alla scelta di futuri possibili e, in particolare di quelli desiderabili. Procedendo così ci troveremo necessariamente invischiati, come orientatori e orientatrici, ad occuparci anche di prospezione, di pensieri prospettici.
Anche qui solo poche parole facilmente applicabili all’orientamento come quelle che abbiamo trovato in Seligman et al. (2016) che invitano ad occuparci della prospezione dato che sarebbe, “l’impareggiabile capacità umana di procedere immaginando alternative che si estendono nel futuro” (2016) e, questo, anche se gran parte della psicologia, della pedagogia e dell’economia sembrano ancora nutrire un’”ossessione per la memoria (il passato) e per la percezione (il presente)” (Seligman et al., 2016, p. XI)

Qui i costrutti da considerare sarebbero molti, e mi soffermerò solo su due: sul pensiero possibilista e su quello prospettico cercando di mettere in evidenza le loro implicazioni in materia di orientamento considerando, prima possibile, che al di là di “ciò che è attualmente”, c’è spazio per “ciò che non è ancora, ma che sarà”, per “ciò che potrebbe essere” e che il regno del possibile non si ferma al futuro, ma ci aiuta anche ad immaginare “ciò che sarebbe potuto essere”, nel passato, e ciò che potrebbe già essere nel presente’ (p. 3). Il pensiero possibilista necessita però di tanta immaginazione in quanto essa, come ha detto Sameshima (2019, p. 10):

  • produce le possibilità e comprende i modi in cui la coscienza, il sé e il mondo, si fondono ed emergono insieme;
  • consente di ‘fare e rifare’ costantemente noi stessi e il mondo;
  • è politica, in quanto manifestandosi attraverso il fare, consente l’emergere di una libertà collettiva;
  • è l’insieme delle nostre capacità di influenzare ed essere influenzati dal mondo, per sviluppare movimenti verso nuove forme di socialità.

E il ricorso all’immaginazione, a quella almeno di cui necessita l’orientamento 5.0, richiede partecipazione e collaborazione e per questa ragione i ‘luoghi’ privilegiati dell’orientamento sono quelli laboratoriali che, per definizione, sono luoghi di cooperazione, di bricolage partecipato, di “assemblaggio di componenti eterogenei” e pensieri (Lee & Denshire, 2013, Deleuze & Guattari, 1987), di intrecci luoghi privilegiati che consentono l’emergere del nuovo (O’Sullivan, 2006). L’immaginazione è incerta e permissiva e, soprattutto, consente di vedere il mondo da molteplici punti di vista dando forma a quella “futurità rivoluzionaria” di cui ci aveva parlato a lungo Freire, e che ci consentirebbe di diventare esseri che riescono a trascendere da loro stessi.