Annovazzi Chiara1;2, Sbarra Maria Luisa1, Meneghetti Daria1, Guzzetti Giulia1 e Camussi Elisabetta1
1 Università degli Studi di Milano-Bicocca
2 Università della Valle d’Aosta
Nel contesto nazionale attuale si presentano una serie di fenomeni tra loro contrastanti: da un lato la società è sempre più caratterizzata da cambiamenti rapidi, carriere mutevoli, transizioni non volute; dall’altro permangono elementi significativi di conservazione e rigidità in ambito economico-sociale. In questa prospettiva si collocano sicuramente la crescita troppo lenta dell’investimento nella formazione e il fenomeno dell’ascensore sociale ‘rotto’, secondo cui in Italia chi è povero tendenzialmente resta tale, mentre chi proviene da famiglie abbienti ha molte più possibilità in tutti i campi, essendo lo status economico delle persone da vari decenni correlato a quello dei propri genitori. Questi fattori impattano inevitabilmente sulla progettualità dei singoli e delle coppie, che faticano a pianificare un futuro che permetta la realizzazione di desideri e progetti.
Un esempio di questo disinvestimento è un fenomeno diffuso nei paesi avanzati ma particolarmente rilevante per la popolazione italiana: la denatalità. Per denatalità si intende il decremento delle nascite, per cui non viene raggiunto il tasso di natalità necessario ad assicurare la sostituzione della popolazione, con significative e gravi ricadute a livello sociale, ambientale ed economico (Henripin, 2005; Billari, 2018). Per esempio, dai dati Istat emerge come nel 2020 ci siano stati complessivamente 15.000 nuovi nati in meno e come lo stesso trend si riproponga nel 2021, con già 12.500 nascite in meno nei primi 9 mesi dell’anno. Le nascite, dunque, risultano inferiori ai decessi: 435 mila contro 647 mila. La popolazione continua complessivamente ad invecchiare, e conseguentemente a fare sempre meno figli (diminuendo progressivamente anche il numero di donne in età fertile, sia italiane che migranti). Questo suggerisce che si vadano inevitabilmente ristrutturando sia l’idea che la configurazione di ‘famiglia’: tre quinti dei bambini non avranno fratelli, cugini e zii; solo genitori, nonni e bisnonni. Ad oggi, per 100 minori di età inferiore ai 15 anni ci sono 161 over 64 e tra vent’anni il rapporto sarà di 100 a 265 (Blangiardo, 2020). A questo aspetto demografico significativo si somma, come anticipato, il tema della difficoltà di investimento in progetti famigliari in contesti socio-economici fragili e precari. Le ricerche, infatti, mostrano un costante divario tra l’idea di famiglia – in termini di numerosità dei figli – che le donne e le coppie vorrebbero realizzare e quella che riescono effettivamente a realizzare. Infatti, se da un lato il numero di figli desiderati risulta stabilmente 2, il numero di figli nati per donna – in Italia – nel 2020 è in media pari a 1,17 (Istat, 2020).
Nella letteratura di riferimento, nazionale e internazionale, si possono individuare tre principali concause che contribuiscono a creare un contesto caratterizzato da iniquità sociale, in cui la progettualità di vita e familiare sembra essere riservata a pochi e poche. Tra questi è possibile annoverare i fattori personali, socioculturali ed economici, che, inevitabilmente, ricadono sulla decisione di genitorialità delle giovani coppie (Rudman e Glick, 2008; OECD, 2011; Bachrach e Morgan, 2013; Istat, 2020).
Per quanto riguarda i fattori economici, si fa riferimento alle caratteristiche del mondo del lavoro, e alla presenza o assenza di politiche di sostegno alla maternità e alla genitorialità. Infatti, se da un lato, si rileva una pressione sociale finalizzata a contrastare e ridurre il fenomeno della denatalità, dall’altro si evidenzia una mancanza di supporti istituzionali nella costruzione di condizioni incoraggianti la natalità e di politiche di sostegno al progetto genitoriale delle coppie, nonché la riorganizzazione del sistema lavoro e dei tempi di vita.
Per quanto riguarda i fattori personali e quelli socio-culturali, invece, si considerano il livello di fiducia delle persone nel valutare le proprie risorse interne come adeguate a costruire una progettualità familiare e di coppia e fenomeni quali la discriminazione di genere, la mancanza di pari-opportunità, e la complessiva sostanziale disuguaglianza di risorse ed opportunità a cui possono accedere le donne, in termini professionali, relazionali, di ruolo, ecc. Il tema della disuguaglianza di genere, in un’ottica di progettualità personale e professionale, pare dunque essere il filo conduttore e il limite delle scelte femminili. La progettualità familiare, infatti, è messa a ulteriore prova da due aspetti tra loro contrapposti: da un lato le aspettative sociali sul genere femminile che prevedono il ruolo materno come naturale destino di ogni donna. Dall’altro ci sono le necessità pratico-economiche della quotidianità, che spingono verso un’inevitabile partecipazione femminile al mondo del lavoro. Le sfide e gli ostacoli con cui le donne si devono confrontare hanno dunque conseguenze importanti sulle loro scelte in ottica progettuale, ed è per questo importante identificare le problematiche specifiche che si trovano ad affrontare e le ricadute che tali questioni hanno sulla vita privata, familiare e professionale.
A partire da quanto detto, in ottica Life Design, è stata svolta una ricerca il cui scopo è stato quello di indagare la percezione delle donne italiane rispetto al desiderio o meno di avere figli nel complesso contesto italiano attuale. Partendo da un confronto tra il numero ideale di figli desiderati e quelli realmente ricercati, si è indagato come la percezione dell’ambiente caratterizzato da incertezza e mutevolezza influenzasse nelle donne una diversa progettualità personale, famigliare e professionale.
Hanno partecipato a questa ricerca 838 donne, tra i 20 e 59 anni, compilando un questionario quantitativo e qualitativo che misurava i livelli di sessismo, gli atteggiamenti verso la maternità, le risorse individuali percepite (es. career adaptability), i valori personali, la soddisfazione di vita, la progettualità personale e professionale, la rappresentazione della famiglia ideale e reale, le riflessioni e motivazioni rispetto all’avere o meno dei figli.
In linea con le ipotesi di ricerca e con la letteratura di riferimento, i principali risultati ottenuti evidenziano come nel campione sia presente una differenza significativa tra il numero di figli desiderati e quelli progettati/avuti, dato che risulta in relazione con la percezione della situazione politico-professionale, nonché con il riconoscimento del gender pay gap. Inoltre, un numero elevato di figli desiderati (>3) risulta essere significativamente relato a una rappresentazione sociale tradizionale e stereotipica della donna e della maternità: alcune delle donne con una visione tradizionale del proprio ruolo, infatti, sembrano riportare un nesso tra l’importanza che ha la qualità percepita della propria vita e il numero di figli. Dai dati emerge, inoltre come l’incertezza lavorativa, le rappresentazioni familiari tradizionali e la pressione sociale derivante dall’esterno ricoprono un ruolo significativo circa la progettualità di vita e familiare delle persone. A partire dai dati sopra descritti e dai risultati della ricerca risulta, quindi, fondamentale che gli Stati e le comunità mettano in atto, in un’ottica di investimento multidisciplinare, politiche specifiche che abbiano lo scopo di migliorare, almeno in parte, le condizioni sociali, economiche e culturali che, ad oggi, hanno un’inevitabile ricaduta sulla progettualità familiare delle singole persone. Allo stesso tempo, risulta necessario, attraverso azioni di Orientamento preventive, implementare le risorse personali e sociali degli individui e delle coppie, così che possano supportare le persone nei processi di ri-costruzione e co-costruzione delle loro traiettorie personali e/o professionali. Obiettivo di questi interventi dovrebbe, quindi, essere quello di riportare al centro delle scelte di vita le donne e le coppie stesse, costruendo percorsi e progettualità dignitose, praticabili ed eque per tutti e tutte.