Riflessioni sul volume: Il futuro oggi. Storie per orientarsi tra studi e lavori, di Ornella Scandella
Paola Magnano
Università Kore di Enna
Il volume curato con grande sforzo e attenzione da Ornella Scandella non è solo un testo per addetti ai lavori, ma un’importante occasione, per coloro che si confrontano con le scelte di carriera e con il proprio Life design, di riflettere su ‘come hanno fatto quelli che ce l’hanno fatta’; le storie di carriera presentate nel volume, pur essendo storie di successi, evidenziano come la linearità dei percorsi di carriera, i passaggi obbligati scuola-università-mondo del lavoro, il pensiero che ‘faccio questi studi, così poi svolgerò questo lavoro’, esistono soltanto in vecchie teorie del secolo scorso, ma non sempre e non esclusivamente coincidono con ciò che le persone reali fanno e con le traiettorie che seguono e perseguono per identificare e raggiungere i propri obiettivi professionali e di vita. I punti di partenza delle storie presentate sono molto diversi, in termini di background socioculturale, tipologia di studi effettuati, momento storico e socioeconomico vissuto; sono molto differenti tra loro i vissuti e le fonti di influenza percepite nelle scelte, il ruolo ricoperto dalla famiglia e dalle persone significative, il grado di autonomia sperimentato nella gestione delle situazioni nuove, le opportunità offerte dal contesto. Tale diversità nelle narrazioni aiuta le lettrici e i lettori a comprendere come non sia possibile identificare un modo ‘universalmente giusto’ per costruire la propria vita professionale (e, conseguentemente, personale), come non sia possibile trarre delle regole generali dalle singole narrazioni, ma come ciò che gli altri hanno attraversato può rappresentare uno spunto di riflessione, ma anche una spinta ad affrontare paure o barriere – reali o percepite – perché qualcun altro, che per qualche motivo mi assomiglia, lo ha fatto mettendo in campo le proprie risorse. Le voci agentiche e restrittive evidenziate nelle storie, nell’opinione di chi scrive, fungono da specchio, ai lettori e alle lettrici, per rivedere le proprie, spesso, più o meno consapevolmente, sottaciute.
Il capitolo conclusivo della prima parte, La filigrana delle storie, ben rappresenta l’intento di individuare gli elementi ricorrenti nei processi di scelta – contesto, relazioni generative, risorse personali, ricordi di famiglia, ricordi di scuola, ieri e oggi – senza tuttavia cadere nel ‘tranello’ di dare maggior peso all’uno o all’altro o di indicare quale sia il modo ‘giusto’ di utilizzare questa o quella fonte di influenza. Sono i lettori e le lettrici, che attraverso le risonanze in loro evocate dai racconti, possono rileggere e ri-significare le proprie storie alla luce dei racconti di esperienze vissute da altri e trarne elementi e spunti di riflessione per orientare i loro percorsi.
Ma il testo di Ornella Scandella è anche un testo per addetti ai lavori, e da addetta ai lavori trovo molto utile la sistematizzazione sul piano teorico, proposta nella seconda parte del volume, di ciò che nella prima parte emerge in maniera, se vogliamo, disordinata, perché spontanea e libera, tipica della narrazione, largamente usata oggi come strumento di ricerca e di intervento nell’ambito del career counselling.
Ecco allora che la seconda parte del testo si apre con una riflessione sistematica, a partire dai risultati degli studi scientifici – teorici ed empirici – sul ruolo dei familiari nei processi di scelta (nel capitolo 5, Genitori di ieri e di oggi, curato da Laura Nota), nelle diverse età e nei diversi contesti storici, con un affondo sulle difficoltà del ruolo genitoriale nel terzo millennio; il capitolo sembra ‘tirare le fila’, nella cornice rigorosa fornita dagli studi psicologici sul tema, di ciò che nelle storie emerge a volte preponderante, come tema centrale, altre volte come semplice inciso, offrendo nella sua parte finale non solo una sintesi, ma anche un esplicito riferimento ai principi e ai valori (cosa ben diversa da consigli e soluzioni) su cui gli addetti ai lavori possono guidare i genitori per diventare ‘efficaci orientatori’ dei propri figli, senza perdere di vista il più ampio ruolo di agenti di cambiamento, secondo i valori dell’equità sociale, del benessere comune e dell’apertura all’altro.
Il capitolo 6, poi, La scuola che orienta, scritto dalla stessa autrice del volume, ripercorre, attraverso la sua pluridecennale esperienza, l’evoluzione delle teorie, delle metodologie e della pratiche di orientamento nella scuola dagli anni ’60 del novecento fino ad oggi, evidenziandone da un lato le necessarie evoluzioni – in risposta ai cambiamenti sociali, economici e, non ultimi, legislativi, degli ultimi 60 anni – dall’altro sottolineando come, a partire dalle storie, non sempre gli insegnanti che hanno lasciato un segno come agenti di orientamento (nel bene e nel male) abbiano agito seguendo indicazioni metodologiche o scientifiche, ma, talvolta, si siano affidati apparentemente al semplice al buonsenso o, leggendo tra le righe, alla ‘relazione’ costruita con il protagonista della storia. Il percorso teorico seguito dall’autrice poi, passa per la didattica orientativa e la questione educativa, tematiche necessariamente interconnesse tra loro, dato che nella scuola l’azione orientativa non può e non deve esaurirsi in ‘consigli’ o suggerimenti (il mai avvenuto superamento del consiglio orientativo indicato dalla riforma della scuola media unica degli anni ’60 del secolo scorso e mai realmente abbandonato), ma va innestata proprio sulla relazione educativa, portando a quello che nel testo, attraverso ciò che è rintracciabile nelle storie, viene definito il ‘pensamento’, ovvero la capacità di aprire le menti, o stimolare l’apertura delle menti, verso le situazioni di transizione e verso la responsabilità della scelta. Il rimando alle teste ben fatte in luogo di quelle ben piene proposto da Morin è evidente, oltre che chiaramente esplicitato proprio a proposito della didattica orientativa. Trovo personalmente profondamente attuale e necessaria la proposta del ‘pensamento’ in una prospettiva di futuro sostenibile, in una nuova prospettiva temporale, che include non solo la dimensione progettuale individuale, ma la integra con uno sguardo più ampio verso gli altri, fisicamente vicini o lontani, verso l’acquisizione di senso e di significatività della propria vita. Alla fine di questo lungo spaccato di approfondimento scientifico e metodologico sulla scuola, l’autrice propone un chiaro e deciso punto di vista nei riguardi di due dispositivi di orientamento molto utilizzati nell’attuale scuola italiana ma anche molto criticati dagli addetti ai lavori: ancora il consiglio orientativo e l’alternanza scuola-lavoro. Lungi dall’assumere una posizione ideologicamente fondata o aprioristicamente critica, ne vengono evidenziati punti di forza e punti di debolezza, e dall’analisi delle criticità viene fuori una proposta che possa essere di aiuto a tutti quegli operatori (insegnanti, innanzitutto) che si approcciano ai modelli offerti ‘dall’alto’, con senso critico, applicandoli flessibilmente con l’obiettivo di ottenerne il massimo beneficio per i diretti destinatari, cioè gli studenti. Questi insegnanti, nei paragrafi ‘per un’alleanza orientativa’ e ‘la sfida dell’alternanza’ possono trovare utili stimoli di riflessione per trovare chiavi di lettura e spunti applicativi per fare in un modo migliore quello che l’istituzione formalmente richiede.
Infine, il contributo di Salvatore Soresi, rappresenta l’intero framework teorico attraverso il quale leggere i contenuti del testo nella loro globalità. Tre sono i livelli di lettura che l’autore stesso propone a seconda del focus utilizzato da lui stesso nella propria lettura del testo: il primo è definito da Salvatore Soresi come un livello emotivo e cognitivo legato alle risonanze che le storie hanno rispetto alla propria storia professionale di orientatore; nel secondo, l’autore è andato alla ricerca dei contenuti e degli elementi che, nelle diverse storie, hanno determinato il successo nelle scelte, individuando tanto le operazioni che le persone compiono nell’affrontare i problemi di scelta, quanto i loro modelli teorici e gli strumenti, impliciti o espliciti; il terzo, infine, apre lo sguardo verso un’idea di orientamento nel suo più ampio significato di ‘frutto sociale’, che attraverso quelle che l’autore definisce letture ecologiche delle storie, potrebbe dimostrare la sua rilevanza sociale nel prevenire situazioni di insoddisfazione legate a lavori poco dignitosi, interessandosi anche ai contesti che di per sé potrebbero reprimere o scarsamente stimolare obiettivi e aspirazioni di grado elevato. In questa ultima, attuale, chiave di lettura, la proposta delle sette mosse per l’orientamento rappresenta la declinazione operativa (ma anche in questo caso, come precedentemente sottolineato a proposito delle indicazioni rintracciate nel capitolo di Laura Nota, non si tratta affatto di consigli o suggerimenti, bensì di principi e valori guida), per “pensare e rendere possibile ogni forma di sviluppo, per rendere pensabile un orientamento in grado di correlare previsioni di realizzazione professionale con il benessere di tutti” (p. 180). Si tratta della lezione di Kate Raworth che tenta di coniugare il benessere economico con quello sociale e ambientale, le cui piste di lavoro sono contenute nei 17 obiettivi dell’Agenda 2030. Più specificamente, in questa prospettiva, l’orientatore dovrà affrancarsi dal compito di costruire profili, resistere alla tentazione di compararli in competizione tra di loro e porsi, invece, in un’ottica di futuro equo e sostenibile, nel quale posti di lavoro dignitosi per tutti sono possibili a patto che si condivida l’idea che apprendimento, occasioni, opportunità si generano a partire dalle relazioni e da contesti comuni. E, ancora più decisamente, riprendendo il pensiero di Marco Morganti, protagonista di una delle trenta storie presentate nel libro, gli orientatori non possono stare dalla parte dei più forti, riducendo le persone a risorse da sfruttare, ma le persone vanno aiutate a essere felici.