Il cosmopolitismo: una virtù per una progettazione inclusiva e sostenibile di qualità.
a cura di Ilaria Di Maggio, Università di Padova
Gli adolescenti di oggi si trovano a progettare il loro futuro professionale in un contesto altamente complesso caratterizzato da fenomeni come la globalizzazione, l’egemonia della politica neoliberale, il rapido avanzamento tecnologico, la precarietà e la disoccupazione lavorativa, che hanno determinato una serie di rischi e sfide economiche, sociali e ambientali che hanno forti ripercussioni sulla progettazione professionale futura dei più giovani (Hooley et al., 2018).
In particolare per quel che riguarda le sfide sociali ascrivibili al futuro delle nuove generazioni, particolare rilevanza sembra assumere il crescente aumento del movimento dei popoli. Si stima che i fenomeni di migrazione continueranno a crescere in futuro a causa del divario sempre più marcato tra i paesi ricchi e i paesi poveri del mondo, dovuti in buona parte all’avvento di politiche neoliberali e di globalizzazione dei mercati (Scuttari e Nota, 2019). Il movimento in vivo o “on_line” dei popoli, favorito dal progressivo avanzamento della tecnologie, se da un lato sta fagocitando diversi posti di lavoro, escludendo sempre più dal mercato del lavoro le persone con maggior vulnerabilità (Frey e Osborne 2017; Ford, 2015), dall’altro ha permesso di raggiungere in breve tempo in vivo e/o on-line posti e persone lontane consentendoci di conoscere culture, lingue, etnie molto diverse delle nostre.
Il progressivo movimento e interscambio tra i popoli e territori lontani ha reso le nostre città, i nostri quartieri, e le nostre vite personali e professionali sempre più caratterizzate da super-diversità e da elevati tassi di eterogeneità (Vertovec, 2010). Ci troviamo oggi, e ci troveremo sempre più in futuro, a sperimentare nei nostri contesti di vita e nei nostri contesti lavorativi, un articolato intreccio di variabili, associate a nazionalità, etnia, lingua, religioni, presenza di disabilità e vulnerabilità. Per affrontare al meglio l’elevata eterogeneità dei contesti di vita e lavorativi che si sperimentano e si sperimenteranno sempre più nel prossimo futuro, secondo diversi studiosi è importante implementare nei più giovani atteggiamenti di tipo cosmopolita (Di Maggio, Santilli e Nota, 2018; Riefler e Diamantopoulos, 2009).
Il cosmopolitismo ha una storia molto lunga: da un punto di vista filosofico se ne parlava già nel corso del V secolo a.C., nell’antica Grecia, quando si iniziò a mettere in discussione l’idea di città stato, andando via via ampliandosi e sviluppandosi in epoche romane quando si arrivò persino ad affermare, con Cicerone, che “la patria è dove si sta bene” (patria est ubicumque est bene”). Considerando i tempi a noi più vicini, non si può dimenticare il contributo di Voltaire che contrappose l’idea di cittadino patriottico a quella di cittadino del mondo, suggerendo di riflettere anche a proposito delle relazioni sussistenti tra cosmopolitismo, federalismo e pacifismo.
In questi ultimi decenni. anche le scienze dell’orientamento e la psicologia sociale si sono occupate del cosmopolitismo. In questi ambiti, l’atteggiamento cosmopolita fa riferimento alla tendenza delle persone e dei gruppi ad orientarsi oltre i confini della comunità locale, ovvero a sentirsi e comportarsi come se si fosse cittadini del mondo, ritenendo tutte le diversità alla stregua di ‘un sale’ necessario per la vita delle persone, del mondo e dell’umanità (Riefler e Diamantopoulos, 2009). L’interesse degli studiosi di matrice psicologica e sociale si è rivolta soprattutto alla ricerca delle cause che influenzano il modo di agire delle persone e dei gruppi e come i loro atteggiamenti e comportamenti potrebbero subire cambiamenti ed evoluzioni (Turner, 2002; Roudometof, 2005).
Alcuni studi, e questo può essere ritenuto interessante anche dal punto di vista dell’orientamento e della progettazione del futuro, mettono in evidenza che la propensione al cosmopolitismo si associa generalmente ad una maggiore apertura alle diversità e alla novità, ad una maggiore tendenza ad accettare i rischi connessi alle attività di ‘esplorazione’, a ‘battere’ piste nuove e ad accettare anche precocemente le innovazioni che possono riguardare aspetti diversi dell’esistenza (Yoon et al, 2001; Roudometof, 2005; Rogers, 2004).
Considerando tali dati di ricerca, recentemente Di Maggio, Santilli e Nota (2018) hanno messo a punto, partendo dagli studi e dai suggerimenti forniti da Riefler e Diamantopoulos (2009), uno strumento self-report volto ad analizzare i livelli di cosmopolitismo degli adolescenti Italiani. Dalle prime analisi dello strumento, è emerso che lo stesso presenta buoni indici psicometrici permettendo di riconoscere la propensione di una persona o di un gruppo ad assumere atteggiamenti e comportamenti di tipo cosmopolita. Il questionario ‘Quanto mi sento cosmopolita’ considera:
- La tendenza a stabilire contatti con persone provenienti da paesi diversi, la frequenza con la quale ci si trova a mantenere attiva una rete eterogenea di relazioni tramite scambi, rapporti sociali, condivisioni e collaborazioni.
- La presenza di una curiosità culturale nei confronti dei punti di vista altrui, delle tradizioni socioculturali presenti in comunità diverse, dei valori e dei principi enfatizzati da concezioni religiose e visioni del mondo diverse che, necessariamente, tenderanno a determinare diversità anche a carico dei comportamenti della vita quotidiana e delle idee sullo sviluppo e sul futuro.
- La propensione a valorizzare la bio-diversità e a sostenere la sostenibilità dello sviluppo. Si tratta dell’agire in difesa di tutti gli ambienti, dell’eterogeneità culturale ed esperienziale, denunciando, da un lato e apertamente, ogni manifestazione di non rispetto dei diritti umani, la presenza di offese, ingiustizie ed ostacoli alla partecipazione, di minacce nei confronti della qualità dei nostri contesti ambientali e sociali di vita, sia tramite l’attivazione, dall’altro, di comportamenti coerenti e coraggiosi con quanto sopra.
- La propensione a considerare con favore sia ‘il locale’ che il ‘globale’: ovvero il riuscire sia a dare importanza e valore a idee, aspetti, eventi, delle comunità locali, riconoscendone tradizioni, usanze, stili di vita, sia ad appoggiare contemporaneamente l’idea che dobbiamo considerarci tutti membri di una unica grande entità e che i confini culturali e geopolitici sono, tutto sommato, frutto di artificiali operazioni di difesa e chiusura.
Utilizzando tale questionario, Di Maggio et al (2018) hanno constatato che gli adolescenti con maggior livelli di cosmopolitismo sono anche più assertivi e fanno maggiormente ricorso alla collaborazione, al pensiero critico e a capacità argomentative. Inoltre, il cosmopolitismo sembra anche correlare in modo positivo e significativo con la career adaptability, ovvero con la propensione a preoccuparsi in maniera positiva del futuro, con un senso di controllo circa gli eventi, con una tendenza all’esplorazione e alla curiosità di sé e dell’ambiente circostante e con un senso di efficacia in merito alle proprie capacità.
Nell’ambito del progetto di intervento Stay inclusive, sustainable, curious, cosmopolitan, passionate (Soresi et al., in press) specifica attenzione è stata posta alla dimensione del cosmopolitismo. A questo riguardo, proporre film e letture di culture sconosciute e lontane, favorire contatti e scambi culturali in vivo o in immaginato, suggerire letture di quotidiani del posto, nazionali e internazionali, favorire attività di lettura critica in merito alla biodiversità e all’accesso dei diritti di tutti stimolando esempi e modelli di azioni positive di cambiamento, possono essere considerate attività utili ad incrementare i livelli di cosmopolitismo dei più giovani.
In conclusione, anche se non numerosi, gli studi sul cosmopolitismo supportano la necessità di potenziare tale risorsa nei più giovani anche al fine di favorire nuove consapevolezze, nuove propensioni e desideri di migliorare la vita anche di altre persone, oltre che alle proprie. Diventa così importante aiutare gli adolescenti ad allenarsi a ‘mettere insieme angolature diverse’, a lasciarsi coinvolgere, ispirare e incuriosire da culture, religioni, persone e luoghi distanti da sé, in modo da iniziare ad accorciare le distanze e ad abbattere le barriere, soprattutto mentali, che oggigiorno impediscono, nonostante si parli tanto di condivisione, l’accettazione e l’unione tra terre, uomini, e sistemi diversi.