Laboratori im-possibili di pratica ludosofica e filosofica… per l’orientamento 5.0

a cura di Arcangela Miceli e Salvatore Soresi

Introduzione
I laboratori di orientamento 5.0, come noto e come già riassunto in altre sedi (Soresi & Nota, 2023; Soresi et al. 2024) si propongono di sviluppare la riflessività e il pensiero prospettico beneficiando anche di tutte le condivisioni possibili nonostante le diversità che sono necessariamente presenti all’interno di ogni gruppo di persone e del panorama delle ‘scienze dell’orientamento. Per lavorare attorno ai futuri, come indicano a chiare note i futures studies (vds, ad esempio, Pellegrino, 2019, 2020, 2021; Gidley, 2017; Massini, 1993; Miller, 2006; Gidley, Batemen, & Smith, 2004) e più recentemente anche la letteratura che si occupa dell’incremento del pensiero prospettico e del costrutto della ‘possibilità’ (vds ad es. il ‘Manifesto’ del possibility Thinking di Glăveanu (2023), nei laboratori di orientamento si ricorre sovente a modalità più o meno strutturate per consentire anche ai partecipanti di cogliere e condividere i vantaggi dell’interdisciplinare, del pensiero immaginativo e del loro interagire.

L’orientamento 5.0 si propone di ragionare e far ragionare sui futuri, organizzando luoghi e spazi in grado di ‘consentire e pre-sperimentare il futuro desiderato simulandolo nella nostra mente’ (Gilbert & Wilson, 2007, p. 1352) immergendoci nel regno del possibile che non si ferma al futuro, ma ci aiuta anche a immaginare “ciò che avrebbe potuto essere”, nel passato, e ciò che esiste ‘come se’ nel presente (Glăveanu, 2023, p. 3). Si potrebbe, ad esempio, chiedere di ‘Immaginare cosa potrebbero dire delle tue ‘possibilità’ chi ti conosce bene; ‘Cosa tu potresti dire delle sue o delle tue’; ‘Come potrebbero rispondere quel tuo o quella tua insegnante’ … e così via. Si potrebbe anche stimolare una discussione di gruppo a proposito di cosa sono le competenze, le emozioni, le scelte e le progettazioni, o porre domande ancora più ‘intriganti’ come, ad esempio, ‘Come si possono ampliare le possibilità, le opzioni?’, ‘Cosa a questo proposito direbbe tuo padre, tua madre, quell’esperto di orientamento e, perché no questo o quel filosofo? ‘Questo o quello studioso di economia?’; E se li potessi mettere assieme attorno ad un tavolo, cosa direbbero? In cosa potrebbero essere d’accordo e in cosa no? E se chiedessimo a Arcangela Miceli di organizzare un ‘simposio’, un laboratorio im-possibile’ di pratica ludosofica e filosofica con alcuni filosofi e filosofe chiedendo loro di far sentire la loro voce a proposito di qualcosa che l’orientamento considera importante, cosa si potrebbero dire?

La pratica” ludosofica e filosofica in funzione dell’orientamento.
La ludosofia, “apprendere ed auto esplorarsi attraverso il gioco filosofico” (Miceli, 2014, 2017, 2023) può essere un paradigma efficace per imparare a ‘cogliere’ le ‘inclinazioni’ e, mediante l’ascolto attento e autentico, migliorare le interazioni, le relazioni umane, le scelte e le prospettive future… La pratica del gioco filosofico di gruppo affina, infatti, la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie potenzialità e predispone al riconoscimento, attenuazione e, in alcuni casi, superamento del disagio esistenziale. L’auto-esplorazione (fase io) di bisogni e risorse: nello sviluppare il sentimento dell’autostima, nell’individuare le ‘matrici’ del disagio; nell’accrescere il senso di autoefficacia. Validissime in questo senso le indicazioni emerse nel testo dedicato all’orientamento da Soresi e Nota (2000) per rinforzare nei giovani sentimenti positivi di sé, fiducia nelle proprie capacità ed atteggiamenti positivi nei confronti dell’apprendimento e nello stimolare in loro comportamenti di ricerca attiva del lavoro. Nello svolgersi del gioco – in cui il dialogo interiore, l’interazione comunicativa e lo spirito di cooperazione sono sempre ‘agiti’ – si mantengono vive e mai completamente esaurite le domande, le istanze e gli interrogativi. I loro (dei ragazzi) dubbi, le loro incertezze e il loro stesso domandare, sono quelle dei filosofi e delle filosofe.

I laboratori im-possibili intorno a preoccupazioni, ansie e problemi ad essi connessi
Dal momento che la filosofia è soprattutto, per dirla con Platone, ‘stupore e meraviglia’, è con questo habitus che ci prepariamo a coinvolgere i filosofi e le filosofe rispetto ai costrutti per l’orientamento 5.0. Immaginiamo dunque che i filosofi e le filosofe, da noi preventivamente ‘interrogati’, partecipino ai nostri laboratori come facilitatori e, in quanto tali, possessori delle cosiddette domande nascoste che contengono le trame ‘nascoste’ della filosofia e delle sue potenzialità formative e di orientamento.

Il primo gruppo di laboratori riguardano i giochi – quali Il daimon, Il tangram, il dono della farfalla, il fotogramma, la mongolfiera – accomunati ai ‘bivi’ legati alle preoccupazioni/ansie e i problemi ad essi connessi. Attraverso la pratica ludosofica, che contiene in potenza le domande, le incertezze e i dubbi, ogni partecipante mentre gioca si connette con le riflessioni e, spontaneamente e senza averlo/a studiato/a, entra in dialogo con una serie di filosofi/e. Partiamo dal facilitatore Cartesio che – attraverso la chiarezza e distinzione, la prima regola del suo metodo –  dà al gruppo la prima consegna (Miceli, 2024):

Cosa si può fare per uscire dall’ansia e dalla preoccupazione? Nel raccontare il fotogramma, i partecipanti provano così a:

Procedere in modo ordinato. Per uscire dall’ansia e dalla preoccupazione è importante cercare di non alimentare il disordine mentale a cui spesso ci abbandoniamo quando non vediamo ‘vie di uscita’, quando ci troviamo nel “cul de sac” della nostra impotenza, ecc. Ne Il discorso sul metodo, Cartesio sottolinea che ogni essere umano è potenzialmente predisposto ad avvicinarsi e, a volte, raggiungere la verità, la propria verità ed autenticità. A condizione che cerchi di proseguire il proprio itinerario di esplorazione e auto-esplorazione in modo rigoroso, attento, e non rigido e dogmatico. La fiducia nelle proprie possibilità e capacità non solo consente a ognuno di percorrere un cammino di inveramento del proprio stesso esistere, ma giova agli altri e coopererà, per certi versi, alla realizzazione del bene dell’umanità.

Allenarsi alla chiarezza. Secondo le indicazioni del filosofo la chiarezza si ha quando, liberi da pregiudizi e preconcetti, possiamo intuire in modo vivido e immediato, un’idea. Con questa regola vengono considerati dannosi e poco utili i giudizi e il principio di superbia (lo so, non ho bisogno di nessuno), di falsa autonomia (ci penso da solo/a) e di autorità (lo so meglio di tutti). Operare distinzioni. L’autore, in genere per distinzione intende un’idea che è definita in se stessa, e in quanto tale può essere attivata assecondando due predisposizioni e operazioni mentali: l’esclusione, intesa come discernimento, e l’astrazione. “… il processo di astrazione come scoperta e non come sottrazione di proprietà della cosa, il rapporto tra chiarire-chiarificare, distinguere-distintificare e definire, la determinazione di una definizione ‘di ragione’ come risultato della distinzione di ragione di Cartesio, il rapporto tra definizione assoluta, o meglio tra una pretesa assolutista di definizione, e la definizione relativa, anche come forma di vaghezza, o più in generale il problema filosofico del relativismo”. Le strategie definitorie sono parte fondamentale del processo dialogico della consulenza filosofica individuale e di gruppo. come in ogni contesto di formazione e orientamento formativo. “In aggiunta, se si considera la metodologia specifica del dialogo socratico, è l’obiettivo stesso del lavoro a corrispondere alla definizione. Le determinazioni di Cartesio, attraverso gli attributi, offrono, a mio motivato parere, una chiave di lettura completa sullo spettro di possibilità delle definizioni che pratichiamo. Così come offrono indicazioni teoriche preziose sui requisiti delle buone definizioni, sui modi chiari e distinti del pensiero in quanto esercizio di astrazione, sul processo di definizione come compito del dialogo filosofico” (Rossi, 2022).

Ora durante il laboratorio del gioco Il daimon, a Cartesio nella conduzione si affianca Socrate e, insieme, alternandosi, affidano al gruppo le loro domande/consegne:   

– quando ti è capitato di essere costretto dalle circostanze – per esempio, la maggiore età, il bisogno di autonomia, ecc. – a uscire dalla tua zona confort e le cose intorno a te sembrano ruotare in modo confuso e poco chiaro, quali domande esplorative ti puoi porre? Tenendo conto che il demandare latino è propriamente ciò che viene affidato, un enunciato tramite cui si esprime e conferisce un desiderio da esaudire mi aiuta a non rifugiarmi nella rassegnazione, nell’impotenza, nel ‘caos calmo’… In uno dei sogni di una controversa opera di Cartesio, Gli Olimpica, il filosofo ci offre (e può offrire ai ragazzi del laboratorio) immagini di singolare e paradigmatica forza evocativa: un vento che lo sospinge, la condizione di barcollamento, il bisogno di trovare rifugio e protezione, ma anche un lume, un barlume, un insight … un’intuizione (Confusione/domanda)

la sofferenza che si prova nella propria intimità – soprattutto quando ci si trova nell’incertezza e impotenza di agire – quali sentimenti forti può generare? (per esempio, la mancanza di autostima, il misconoscimento del proprio valore e delle proprie possibilità, la rassegnazione e la depressione…) e, allora – chiede Socrate – hai bisogno di un interlocutore? Ed è proprio quando si è ‘toccato il fondo’ che interrogativi dubbi e richieste possono spingerci a muoverci verso l’altro da noi per rivolgere a qualcuno una o più domande per avere chiarimenti, informazioni, spiegazioni (Tormento interiore/ interrogativo)

– Quante volte ti sei trovato in una qualsiasi interazione e situazione di confronto psicologico, a ricevere consigli e modalità di comportamento, a valutare e orientare le scelte e le azioni, a innescare meccanismi di ‘salvataggio’ e tecniche di suggerimento? Prova ad auto-esplorarti – sembra suggerire il maieutico Socrate e l’ironico Socrate. La tecnica elenctica di domanda e risposta non trasmette conoscenze in alcun senso ordinario o didattico. Mira ad innescare nell’interlocutore un processo di incertezza, un domandare che si approfondisce fino a una messa in questione di se stessi. Si potrebbe dire che chiunque afferri l’intenzione di Socrate si trasformi in un autodidatta e ritrova la sua libertà: “O libertà! tu dolce e umano nome, che contieni in te tutto ciò che di moralmente caro massimamente mi lusinga come uomo, che non mi fai servo di alcuno…” (Steiner, 1946). E se il giovane interlocutore Eutifrone (Miceli, 2006) alla sollecitazione di Socrate, sembra rimanere passivo, anzi sulle difensive, la tecnica elenctica (una specie di diagramma di flusso) nella pratica ludosofica serve a ‘fissare’ i punti del dialogo, in ogni situazione di confronto interpersonale e di gruppo. Utile, dunque, sia per il consultante che per il consulente, ma anche tra il docente/formatore e il/la giovane con cui è in rapporto dialogico, la successione dei racconti più che alla risposta predispone alla ulteriore domanda, e alla successiva auto-esplorazione (Dubbio/finzione).

Socrate stesso, dal momento che le tecniche che affiancano l’arte maieutica riguardano l’esame, il dubbio, l’ironia, il discorso breve e il domandare (Miceli, 2010), può sollecitare i giovani nell’analizzare le preoccupazioni. E proporre loro, nel corso dei laboratori sul gioco Tangram una serie di ‘esercizi’ e consegne ludosofiche: l’individuazione del problema attraverso l’esame. Questo atteggiamento può facilmente condurre la mente di un ragazzo a mettere da parte i desideri, le speranze e le aspirazioni, e misurarsi con ‘ciò di cui dispone’. L’etimologia latina, exigere ci farebbe in un primo momento tradurre pesare, misurare; a ben guardare le accezioni, tuttavia, agli occhi del giovane si presentano una miriade di sollecitazioni, atte a supportare il primo approccio a una preoccupazione di qualunque natura e portata. Dall’auto-esplorare la propria attitudine a svolgere determinate attività, all’attenta osservazione a cui si sottopone un oggetto, una situazione, una persona per conoscerne le qualità e le potenzialità fino alla ponderata considerazione di una cosa allo scopo di prendere una deliberazione o formulare un giudizio. Avvicendandosi nella conduzione Socrate e Cartesio trovano un punto di convergenza nel dubbio, e alla prospettiva maieutica ed auto-esplorativa si aggiunge la richiesta di chiarimento; ‘saper chiedere’ è non solo un ottimo esercizio di umiltà ma è anche il modo per predisporsi ad accogliere informazioni e dati che possono servire a sciogliere alcuni nodi delle preoccupazioni e delle ansie di fronte al nuovo. A cui si aggiungono, integrandosi, l’ironia, la dissimulazione e la finzione. Queste tre accezioni nel loro significato semantico, utili nella dialettica socratica, diventano indispensabili nel dialogo con se stessi e con gli altri in quanto consentono, in un momento di impasse emotivo e/o comunicativo, di ‘dislocare’, di ‘divergere’, di sospendere per un attimo l’attenzione e la comunicazione e di ripristinare il dialogo e il confronto.

Ora il protagonista/facilitatore quasi esclusivo è ancora una volta Socrate e, nel corso del gioco Il dono della farfalla, sollecitando i partecipanti all’uso del discorso breve (la brachilogia), consente di circoscrivere l’ambito di investigazione, di individuare e comunicare il focus e di riportare nel ‘qui ed ora’ il problema. Nei laboratori a carattere aporetico (senza poros, senza una via d’uscita predeterminata) diventa centrale il domandare: che cosa è veramente? che cosa è per te? (e dove il per te non è l’opinione, la congettura ma il sentire, il provare la sensazione, l’emozione, il disagio) che cosa significa per te, nel tuo quotidiano, nel tuo agire di ogni giorno e di ogni situazione concreta? è un domandare che non richiede risposta (non è un interrogatorio ma un’esplorazione!) ed è invece una vera narrazione, un’esperienza raccontata, trasmessa e agita.

E se, in un laboratorio ‘im-possibile’, fosse Husserl a facilitare lo svolgimento del gioco (in questo caso Il fotogramm), alcune ‘pratiche’ ludosofiche porterebbero i partecipanti ad acquisire una modalità auto-analitica e auto-riflessiva ma anche dialogica e etero-riflessiva: “Ogni cosa dell’ego, intesa, pensata, valutata, trattata, ma anche posta o da porre nella fantasia, è indice correlativo di un sistema dell’ego, ed esiste solo come correlato di questo sistema stesso. Di fronte alle cose, spettatore attento e partecipe, si colloca l’ego, il quale mantiene cartesianamente la sua funzione di ego-cogito ma ne esprime anche la capacità agente, auto-costituita nella determinazione della forma temporale al pari della cosa e degli altri ‘io’, attraverso tutte le forme possibili di esperienze. Ogni soggettività proprio mentre si misura con il gioco nella forma auto-investigativa e dialogica viene a trovarsi in una rete di rapporti ‘esterni’, ‘fisici’ con gli altri ‘io’: cosicché nel momento in cui l’io interpreta, analogamente a quanto ha fatto con se stesso, le essenze-entità con cui si misura, si vengono a determinare mondi intersoggettivi, retti da proprie strutture, le quali a loro volta costituiscono la base per la formazione degli enti-persone collettive. La visione husserliana si ricompone in una pluralità di monadi che si rapportano e comunicano fra loro mediante la sfera neutra del mondo intersoggettivo e il cui correlato oggettivo è il mondo empirico in cui viviamo. Solo così l’esperienza dell’altro è empatia (Einfühlung), condivisione di punti di osservazione, disponibilità all’ascolto attento e autentico e al cambiamento e dialettica feconda. E il cammino della relazione dialogica, con se stessi e con gli altri, comincia il suo viaggio” (Miceli, 2013).

Un viaggio in Mongolfiera, simulato in un gioco filosofico di gruppo, è quello in cui il ‘nocchiero-facilitatore’ Kant invita gli astanti a guardarsi in giro, osservare, classificare… raccogliere dati e, attraverso l’intuizione sensibile (facoltà che ci consente di vedere, conoscere e fare esperienza sensibile degli oggetti presenti e che abbiamo di fronte) e lo schematismo trascendentale (tutte le molteplici esperienze quotidiane vengono classificate in uno schema mentale dell’intelletto per potervi accedere anche quando non abbiamo più di fronte a noi l’oggetto) ogni partecipante seduto nel suo scranno immaginario della gondola – si trova di fronte alla realtà e a ogni segmento di essa. Intanto per capire come egli stesso indaga, osserva e ‘legge’ i fenomeni, il filosofo tedesco invita a spostare l’attenzione dall’oggetto indagato al soggetto che indaga (rivoluzione copernicana). E si auto-cita: Se “la nostra conoscenza scaturisce da due fonti fondamentali dell’animo, la prima delle quali è nel ricevere le rappresentazioni… la seconda è la facoltà di conoscere un oggetto mediante quelle rappresentazioni. Mediante la prima ci è dato un oggetto (che sono in grado di definire, descrivere, attribuirgli un nome, una funzione, una forma…) e mediante la seconda questo viene pensato in relazione a quella rappresentazione”. I partecipanti, mentre descrivono ciò che vedono e lo confrontano con gli altri, vivono mediante l’esperienza, il rapporto tra Intuizione sensibile e schematismo trascendentale. E continua. “Se noi vogliamo denominare sensibilità la recettività dell’animo nostro nel ricevere rappresentazioni, in quanto viene in qualche maniera impressionato, l’intelletto è invece la facoltà di produrre da sé rappresentazioni, è cioè la spontaneità della conoscenza… Senza sensibilità non ci verrebbe dato nessun oggetto, e senza intelletto nessuno ne verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche” (Kant trad. 1965). I giocatori sono perplessi! Perché è vero che non hanno capito molto dell’argomentazione e se da una parte sono rassicurati dall’esperienza dall’altra è come se si trovassero di fronte a un enigma, che fa loro cogliere che tra la sensibilità e l’intelletto esiste una facoltà, anzi “un’arte celata nel profondo dell’anima umana, il cui vero maneggio noi difficilmente strapperemo mai alla natura per esporlo scopertamente innanzi agli occhi”. Kant chiama immaginazione produttiva questa capacità, questa straordinaria competenza di cui tutti siamo in grado di utilizzare quando dobbiamo correlare le intuizioni sensibili con i concetti. “La facoltà dell’immaginazione produttiva [Einbildung]” dice Kant “è quella del produrre immagini traendole da se stessi, indipendentemente dalla realtà effettuale degli oggetti” (Kant trad. 1965 – De Toni 1986).

Questo nell’esperienza ludosofica funziona, ma come tradurla nell’affrontare una preoccupazione e/o un’incognita? La percezione della realtà attanaglia il giovane di fronte ai problemi a cui far fronte; per esempio, nel passaggio tra la gestione del proprio tempo, impegno e possibilità future, e i problemi di adattamento, di prospettive incerte e a volte inesistenti da affrontare, possono essere fonte di ansia e preoccupazione. Non può certo impedire a se stesso di trovarsi di fronte a un bivio o a un cul de sac! Può però arrivare ‘corazzato’. Il nocchiero Kant, infatti, fa notare come tutti abbiano esercitato, per tutta la durata del gioco, la propria immaginazione ‘operativa’. L’immaginazione produttiva – sembra suggerire – elabora degli schemi concettuali, generalizzazioni estremamente astratte dei concetti che consentono di riconoscere, inquadrare e collocare le differenti e soggettive immagini mentali che mi sono fatto dopo l’intuizione sensibile. Ma, grazie a lei vengo posto nella condizione di: unificare i dati intuitivi (colgo analiticamente le situazioni e le possibilità che riscontro nel mio abituale contesto di vita); sistematizzare le categorie considerate come modalità di funzionamento dell’intelletto che elabora i contenuti dell’intuizione sensibile (classifico le mie esperienze esplorative sulla base di ‘criteri’ che mi pongo rispetto a competenze maturate, richieste del mondo del lavoro e settori in espansione); stabilire relazioni e rapporti costanti (potenzialità e opportunità nel tempo e nello spazio); collaborare alla sintesi di entrambe (costruire una mappatura dei dati di realtà con desideri, bisogni, priorità…). Nello stesso gioco, e in una delle fasi più feconde che è quella dell’uso della funzione immaginale, la presenza di Husserl in qualità di co-facilitatore potrebbe essere ‘illuminante’!

Dal momento che il rapporto tra inquietudine, pensiero e tensione nella filosofia husserliana coincidono, in un continuo chiasmo di esperienze auto investigative, nei concetti-chiave di intenzionalità, immaginazione e coscienza figurale. La posizione fenomenologica (quindi di ciò che ho “davanti a me”, che mi appare come fenomeno e come evento) del filosofo tedesco si configura in modo fecondo per i giovani già nell’uso e nella definizione dell’atteggiamento immaginativo. Husserl precisa, immedesimandosi nell’ansia della tensione dei giovani di fronte ai vagli decisionali, che i termini tedeschi di Einbildungskraft (immaginazione) e Phantasie (fantasia) sono quasi sinonimi. Analizzando sul piano semantico i due termini, la ricchezza e declinazione dei loro contenuti rappresentano una miniera di indicazioni fondamentali nei confronti di chi si misura con le scelte ma anche con la ‘prefigurazione’ dei propri giorni futuri. Partiamo dal primo, il termine tedesco è costituito da bilden – formare, plasmare – e Kraft – potenza, forza – e la traduzione corrente è quella di “rendere presente”. Il rendere presente, tuttavia, è associabile ad altre accezioni (come lo stesso Husserl ci indica in appendice nel suo straordinario testo tradotto in italiano con Fantasia e immagine) che sono, per esempio vorstellen nel significato di ‘rappresentare’ e, per altri, ‘aleggiare’, ‘aleggiare dinnanzi’; ‘anticipare con la memoria’, e soprattutto, ‘presentificare’. Per quanto riguarda il secondo Phantasie [dal verbo greco phaínō ‘mostrare’, ‘rendere manifesto’] nella radice sanscrita bha e greca pha l’accezione – di grandissima utilità nell’avviare fruttuosi atteggiamenti di ‘coscienza immaginativa’ – può essere legata allo splendere, fare luce; come al parlare, risuonare; e, per analogia, pha-no: dare alla luce, mostrare; phan-tàzo: rendere visibile, fare apparire (Miceli, 2024). Ognuna di queste traduzioni, dall’apparente valore di sinonimi, può rappresentare significative e rilevanti potenzialità nel campo educativo, formativo e di orientamento e in questo caso nella simulazione ludosofica di una scelta.

Nel momento in cui la ‘consegna’ prevede di farsi un’immagine mentale di un oggetto reale o finzionale, è importante – il filosofo sollecita i giocatori – rivedere nella memoria un evento passato, immaginarsi un evento futuro probabile o improbabile, assumere una circostanza impossibile a realizzarsi o un evento non accaduto come se invece si fosse realizzato. Infatti, quando si associa ad un oggetto o stato di cose della realtà un valore arbitrariamente scelto significa avere e riconoscersi capacità per collegarci a un oggetto, o un suo contenuto ma anche di travalicarlo (intenzionalità della coscienza o della mente in quanto aspirazioni) a ‘costruirsi’ una coscienza ‘consapevole’ e una nuova forma conoscitiva aperta verso nuovi orizzonti di senso; e predisporsi a un modo di agire rappresentativo della propria realtà, della propria visione del mondo e del possibile cambiamento. “Se è con Kant che all’immaginazione è stato riconosciuto per la prima volta un ruolo fino ad allora ad essa estraneo, è anche a partire da Kant che si è resa possibile una profonda riconsiderazione della maniera in cui da secoli il problema dell’immaginazione, e delle componenti coinvolte con essa, era stato valutato. L’entrata ora in gioco di questa facoltà nel processo costitutivo del darsi delle cose così come nello schiudersi originario del nostro accesso al mondo ha comportato in tal modo una revisione, più o meno consapevole, di tutto l’intero processo stesso, con cui da secoli si era considerata la dinamica conoscitiva” (Todaro, 2015).